CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

domenica 30 marzo 2014

la tragedia mediatica di un paese anormale

La tragedia mediatica di un paese anormale. Una lettura particolare dell'intervista di Grillo a Mentana.


                                    "Essere italiani: che tragica perdita di tempo!"
                                                            Ennio Flaiano, 1962 





di Sergio Di Cori Modigliani

Sulla campagna mediatica in Italia e sulla impossibilità di essere normali.

Ieri è stata una giornata molto faticosa, all'insegna (Flaiano docet) della perdita di tempo.
Una volta arrivati in Italia i dati sulle elezioni amministrative in Francia, sui social networks, i piddini si sono scatenati facendo girare vorticosamente e in maniera virale un articolo firmato Michele Di Salvo uscito un paio di giorni prima, nel quale si spiegava che Grillo aveva chiuso un accordo con Marine Le Pen.
E' stato uno spettacolo impietoso.
Per ore e ore, chi si occupa di politica (da cittadino pensante) è stato inevitabilmente costretto a rintuzzare quelle sciocchezze -peraltro false- spiegando, rispondendo, cercando di argomentare, ma la macchina del fango ormai era partita e intanto partiva l'attacco ai fianchi della divisione televisiva Rai, ben schierata e pimpante, che sui talk show mattinieri definivano il M5s il partito dell'anti-politica, il partito anti-europeista per antonomasia, alleato naturale del Front National francese. Una manovra ben orchestrata alla quale non era possibile replicare perchè la televisione non è un medium interattivo e lo spettatore è costretto a subire in maniera passiva le immagini che scorrono sul video, senza alcuna possibilità di replica. 

Poi, al pomeriggio, è stato costretto a intervenire Grillo, di persona, sul suo blog, pubblicando un accorto post lungo tre righe che aveva la forma e il sapore sostanziale di un comunicato ufficiale, grazie al quale è stata messa la parola fine a tutta la penosa faccenda.
E i piddini sono scomparsi, allietati dal fatto che -secondo loro- comunque erano riusciti senz'altro a convincere qualcuno che i pentastellati sono dei fascisti pericolosi.
Un aperitivo mediatico che ci illumina sull'attuale clima politico.

La stressante giornata di ieri mi ha definitivamente convinto che in Italia, il termine "contro-informazione" ormai è inapplicabile, soprattutto sul web. Essendo un paese ormai regredito, i partiti tradizionali, sapendo di non essere in grado di contrastare l'opposizione e il malcontento popolare con argomentazioni razionali e sensate (gli italiani sono regrediti ma non sono fessi) hanno ormai imposto il loro stile mediatico praticando il falso, la diffusione della menzogna a tutto spiano, la calunnia, la diffamazione, costringendo quindi ad abbassare il livello in maniera impietosa. E' un trucco ingegnoso, il cui fine consiste nell'impedire di affrontare i temi sostanziali, dal Fiscal Compact alla finanza speculativa, dai necessari investimenti al reddito di cittadinanza, dai tagli lineari alla corruzione e agli sprechi indecorosi dell'attuale classe politica dirigente. Perchè ci sono soltanto 24 ore al giorno e si è costretti a investire la propria energia nel metterci una pezza quando parte la diffusione delle falsità.
E' necessario, quindi, evitare qualunque appiglio che possa alimentare la possibilità di creare con facilità confusione, dubbi, quello stato di nebbia pastosa che è caratteristica della cultura mafiosa, non a caso detta anche "la piovra". Termine, questo, usato non in riferimento ai suoi tentacoli come i più erroneamente credono, bensì in relazione alla sua strategia mediatica. L'animale piovra, infatti, ha una particolarità tutta sua, costruita dalla sua genetica ittica: quando sente intorno a sè il pericolo incombente di qualche predatore, eietta una sostanza molto densa, di colore nerastro, oleosa, che ha la particolarità di formare intorno a sè una vasta coltre nebbiosa, una specie di cappa che fa perdere l'orientamento a tutte le specie di pesci. Approfittando della confusione generata intorno a sè, la piovra si dilegua e scompare. Quando la nebulosa dirada, non c'è più, è sparita, ormai lontana.
Bisogna essere molto accorti per prevenire il lavoro della piovra.

La giornata di ieri mi ha definitivamente confermato una mia personale idea sull'intervista di Grillo a Mentana, che qui condivido con voi.
L'ho seguita con molta attenzione, e va da sè che la mia energia era concentrata sulle domande e le risposte. Quando è finita, ho spento la televisione perchè volevo rifletterci sopra senza quindi essere sviato dai commenti dei giornalisti in studio.
Lì per lì è avvenuta una cosa singolare che mi ha colpito. 
La sensazione che quella trasmissione mi aveva lasciato era quella della tristezza.
Per molte ore mi sono interrogato su questa emozione, senza trovare una adeguata risposta.
Il pomeriggio del giorno dopo l'ho guardata ancora, la sensazione permaneva.
Infine, l'ho rivista una terza volta, e finalmente ho capito.
Al di là della sostanza inerente alle risposte, c'era un altro messaggio fondamentale che quella intervista ci ha regalato: la codificazione della totale indecente anormalità di questo paese. 
Ecco perchè.

Beppe Grillo è un uomo di spettacolo e conosce molto bene il medium televisivo avendoci lavorato per lungo tempo, è davvero la sua specifica competenza tecnica. E' quindi abituato a calcolare i ritmi, i tempi, la mimica, i colori, soprattutto la scenografia, perchè niente è mai lasciato al caso, è la differenza tra i professionisti e i dilettanti. Tanto più in una occasione come questa, dove la sua funzione era quella di leader politico con la consapevolezza di star interpretando la volontà e le aspirazioni dei milioni di italiani che gli hanno dato fiducia.
Quella intervista era claustrofobica,  e soltanto in paese anormale poteva essere stata confezionata in quel modo.
Come sarebbe andata in onda, invece, in un paese evoluto e normale, diciamo l'Olanda o la Gran Bretagna?
Era la prima intervista ufficiale di Grillo alla televisione italiana, davvero un ottimo colpo mediatico, dal punto di vista professionale, per Enrico Mentana. Essendo un giornalista di lunga esperienza, l'avrebbe costruita e proposta presentandola come tale. Sarebbe apparso in video facendosi riprendere sulla soglia della casa di Grillo, con la porta aperta, facendoci vedere, magari, i suoi operatori e i tecnici delle luci che sistemavano gli ultimi cavi allacciandoli alla consolle. Mentana entrava dentro, facendo seguire ai telespettatori passo per passo l'intrusione della televisione nel privato del leader. Grillo gli andava incontro e lo invitava ad accomodarsi, sedendosi sul divano del salotto mentre Mentana si accomodava su una poltrona di fianco a lui, e la telecamera indugiava un attimo su qualche suppellettile, un vaso da fiori, due o tre quadri appesi al muro. Oppure lo seguiva nel suo studio e Grillo si accomodava dietro la scrivania del suo ufficio e Mentana seduto su una sedia, inquadrando lo scaffale della libreria, e alcuni tomi appoggiati sul tavolo. Magari decidevano di far vedere anche una cameriera che portava un vassoio con una bottiglia di acqua minerale con due bicchieri.
Così sarebbe stata trasmessa in qualunque paese civile del mondo.
Impossibile in Italia.
Perchè Grillo, giustamente, ha deciso di muoversi con saggia prevenzione.
Lui è apparso all'improvviso, bum, in piano americano, senza che siano state mai inquadrate neppure le mani. Dietro di lui una tenda pesante di color rosso scuro, piuttosto spessa e anonima. Identico tessuto dietro Mentana che non veniva inquadrato neppure a figura intera.
Era un incontro sospeso nel tempo e nello spazio, poteva essere stato realizzato dovunque, anche dentro una cantina.
Perchè era l'unica possibilità realistica di impedire manomissioni, di evitare manipolazioni al photoshop e al videoblurring, di aggiungere magari un quadretto in cui si vedeva Marie Le Pen e la scritta in pittura fosforescente in cui c'era scritto "al mio fraterno amico Beppe per la nostra vittoria comune" o immettere delle immagini subliminali incastrate dentro un paesaggio a olio, o riprendere i libri sul tavolo e magari vedere il dorso di un manuale terroristico scritto da Osama Bin Laden o qualcosa di analogo. Un esperto grafico che ho consultato mi ha spiegato che il rosso scuro e un tessuto molto spesso impediscono ogni forma di intervento secondario. Mai inquadrate le mani; qualcuno poteva aggiungere, non lo so, un anello della Spectre, un braccialetto di una loggia massonica.
E Mentana lo ha capito e ha accettato; questi, a mio avviso, devono essere stati i termini.
Il messaggio che a me è arrivato è stato questo: "non siamo un paese normale, non possiamo permetterci il lusso di vedere un bravo professionista della comunicazione che va a fare il suo lavoro e intervista un importante leader politico nella sua casa, perchè siamo sempre a rischio e non bisogna alimentare la ferocia esistenziale, la cattiveria, il falso, divenuta ormai la caratteristica principale di questo paese; bisogna sempre stare attenti e prevenire il peggio".
Da cui la tristezza.

Ricordo il gennaio del 2013 quando Grillo si era fatto riprendere sul suo camper mentre girava per l'Italia con il suo tsunami tour elettorale. Il giorno dopo, su facebook i militanti del PD e della lista Ingroia diffusero viralmente una immagine in cui si vedeva la fotografia di Benito Mussolini incorniciata dietro il guidatore. Per giorni e giorni migliaia di persone, in rete, hanno investito una incredibile quantità di energia per spiegare che si trattava di un falso. Alcuni hanno abboccato. Pochi giorni dopo, in seguito a una intervistina (pochissimi minuti) di Grillo alla scrivania, quelle immagini erano state riempite dei dorsi di libri come Mein Kampf di Adolf Hitler e inviate su tutte le bacheche di facebook di sinceri democratici. In più d'una occasione sono state individuate immagini subliminari che contengono fotogrammi osceni in diverse e svariate fotografie diffuse a febbraio del 2013 a ridosso del giorno della votazione.
L'Italia, questo è diventata.
Tutto ciò per consigliare di non credere a nulla di ciò che vediamo su facebook o sul web.
Due minuti dopo che saranno finite le primarie on line e sarà stilata la lista definitiva dei candidati alle elezioni europee, inizierà la macchina del fango.
Come la piovra.
Faranno vedere di tutto, inventeranno di tutto, scriveranno di tutto.
Non credete a nulla.
L'intervista Grillo-Mentana è stato un chiaro e forte ammonimento.
Perchè così stanno le cose, questa è la mia opinione.
"Triste è il cielo quando la mente degli umani è obnubilata dall'odio e dalla menzogna" così ci ricordava la parte sporca della natura umana il Grande Bardo.
E io, dei sommi poeti, mi fido più di qualunque altra persona.

fonte: sergiodicorimodiglianji.blogspot.it

modella russa massacrata dal compagno

Le foto scioccanti della modella Russa massacrata dal compagno!


Queste sono le foto scioccanti della modella Russa Alexandra Sereda dopo il pestaggio subito per mano del suo ex compagno Pavel Ushanov, 33enne multimilionario russo delle telecomunicazioni, e Ceo della moscovita Devino Telecom ...

Lei gli ha annunciato di volerlo lasciare e lui per reazione l'ha picchiata in modo brutale trasformando il suo splendido viso di modella in una maschera di sangue. Pavel Ushanov, 33enne multimilionario russo delle telecomunicazioni, e Ceo della moscovita Devino Telecom, aveva una relazione con la modella 27enne Alexandra Sereda. Quando la ragazza gli ha annunciato di voler troncare il rapporto, lui l'ha aggredita in modo selvaggio. L'uomo è attualmente ricercato dalla polizia. (Messaggero)


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fonte: www.stopcensura.com

venerdì 28 marzo 2014

ex cappellano condannato

Ex cappellano di San Vittore condannato a 4 anni per violenza sessuale su 12 detenuti



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L'ennesima incredibile vicenda che vede coinvolto un uomo di chiesa, è l'assurdo caso ha portato all'arresto di Don Alberto Barin, ex cappellano di San Vittore, che è stato condannato a quattro anni di reclusione per violenza sessuale. Secondo i pm avrebbe "ricattato" 12 detenuti offrendo loro sigarette, saponette, spazzolini ecc ecc in cambio di rapporti sessuali ...

"Sigarette, saponette, spazzolini e altri piccoli beni per vivere meglio in carcere in cambio di rapporti sessuali. Protagonista della vicenda Don Alberto Barin, ex cappellano di San Vittore, che è stato condannato a quattro anni di reclusione per violenza sessuale. Per lui i pm aveva chiesto invece una condanna a quattordici anni e otto mesi per violenza sessuale aggravata nei confronti di dodici detenuti, tutti uomini di origine nordafricana tra i ventitrè e i quarantrè anni" (Today)

fonte: www.stopcensura.com

lunedì 24 marzo 2014

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FOSSE ARDEATINE: DA SETTANT’ANNI RESISTERE A QUELLI CHE INSINUANO


di Alessandro Portelli
[Il 25 marzo 1944, i lettori dei giornali romani trovavano il seguente comunicato dell'agenzia Stefani, emanato dal comando tedesco della città occupata di Roma alle 22.55 del 24 marzo:«Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per Via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti.La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito». L'annuncio della rappresaglia fu dato quando l’esecuzione era già avvenuta. Per anni si è detto che i partigiani avrebbero potuto costituirsi e salvare degli innocenti, ma nessun manifesto fu affisso sui muri. Né vi fu alcun tentativo di catturare i responsabili dell’azione.
Eppure la memoria repubblicana ha costruito intorno a via Rasella uno dei processi morali più pesanti a carico dei partigiani.]
Via Romagna via Tasso principale
ventitrè marzo fu la ricorrenza
di chi ci fè passà tempi brutali.
Li tedeschi la presero avvertenza;
chi si ha da vendicà non ha più pazienza
chi bomb’a mano chi co’ la rivoltella
tedeschi morti pe’ la via Rasella
(Egidio Cristini)
È logico che le ottave dei poeti orali popolari cantino di via Rasella, delle Fosse Ardeatine, della fuga di Kappler dal Celio. Per la dimensione della strage e per le controversie non sopite, le Fosse Ardeatine restano una ferita aperta nella memoria e nei sentimenti della città. Basta guardarsi intorno, grattare la superficie della memoria, e i racconti sgorgano. Roma ne è piena, ne siamo circondati. Solo a libro praticamente finito per esempio, mi sono reso conto che Pilo Albertelli era stato professore di mia madre, che Mario e Alfredo Capecci da ragazzi venivano a giocare sui prati dove adesso c’è casa mia, e che un ragazzo di Genzano che aveva fatto con me la tesi di laurea era il nipote di un altro degli uccisi. (…) Molte sono storie familiari di appropriazione per contatto dell’evento storico (“io c’ero”, anzi “mio padre c’era”) articolate con classiche narrazioni di pericolo scampato:
Giovanna Marroni (bibliotecaria): “La sorella di mia nonna col marito erano nel cinema Barberini proprio quando è successo l’attentato e all’uscita del cinema raccontavano appunto che avevano visto questa gran confusione e quasi per caso son riusciti a infilarsi in quel vicolo”.
Antonietta Saracino (ricercatrice): “Nella mia famiglia è sempre girata questa narrativa: papà mi diceva che quel giorno era passato da via Rasella un attimo prima o un attimo dopo, ha sentito queste urla, insomma non capiva di che cosa si trattasse, l’ha capito dopo. Un sacco di gente che conosce continuava a dirsi ‘sto film: “vedi, quello che camminava venti metri avanti a me è stato preso quando hanno chiuso la strada, io sono vivo per miracolo ”.
Altri racconti riguardano invece la memoria, i nomi, i luoghi, i rituali:
Neelam Srivastava (studentessa): “Anch”io ho un ricordo personale: una mia compagna di scuola, una mia amica, suo nonno morì alle Fosse Ardeatine, allora c’è una piazza vicino a casa mia dove c’è una lapide, dove c’è scritto che lui morì alla Fosse Ardeatine, e lei me lo ricordava. E questo fu il mio primo impatto con questo episodio, che non ne sapevo quasi niente, e quindi fu una cosa molto immediata. Di cognome faceva Zicconi. Però non so il suo nome».
Carla Gabrieli (ricercatrice): «[I miei genitori] erano dal Partito d’azione, e mi hanno sempre molto parlato di tutti questi eventi, e in particolare delle Fosse Ardeatine… Loro erano molto amici di due persone ammazzate alle Fosse Ardeatine, soprattutto di Pilo Albertelli, e di questo altro che si chiamava Pierantoni».
Vanda Perretta: «Poi c’è un secondo ricordo. Quando furono aperte le Fosse Ardeatine, la mamma acchiappò queste tre bambine, e ci portò, alle Fosse Ardeatine. Che non erano come oggi, e che erano qualche cosa che nel mio ricordo e rimasto come qualche cosa di morbido, perche era morbido il suolo per terra, perchè era rena, si cammilzava sul morbido, come se fosse una grande moquette; e morbido era l’odore, delle tuberose, che io non posso da allora mai più avere nelle vicinanze. Perchè dopo ho creduto di riconoscere nelle tuberose quell’odore di morte che c’era dentro le Fosse Ardeatine».
(…)
Trecentotrentacinque persone vogliono dire ormai tre generazioni di altrettante famiglie, parenti stretti, parenti lontani; per ognuno, vogliono dire amici, compagni di lavoro, di partito, di sindacato, di scuola, di chiesa, e vicini di casa, di quartiere: il racconto delle Fosse Ardeatine è un seguito di anelli concentrici che si espandono fino a pervadere lo spazio della città. “Davvero- come scriveva Henry James- le relazioni non si fermano mai”.
Solo fra i ragazzi di periferia le cui famiglie sono immigrate a Roma una generazione dopo, ho trovato aree in cui questa storia non era conosciuta, o era solo un’incerta memoria scolastica: Parlare delle Fosse Ardeatine e della loro memoria, insomma, significa parlare di Roma.
(…)
«Alle Fosse Ardeatine c’è mio padre ma c’è un bambino di 14 anni, ci sono dei sacerdoti, ci sono operai, ci sono impiegati, militari, carabinieri – forse lei diceva un momento fa una cosa giusta: che le Fosse Ardeatine sono il simbolo della tragedia italiana perché lì si è radunato tutto, tutti son stati rappresentati, non è stato altro che i simbolo di quello che succedeva intorno, nelle piazze di Roma›› (Vera Simoni). Alle Fosse Ardeatine muoiono cattolici, ebrei, atei; comunisti di diverse formazioni, socialisti, liberali, azionisti, monarchici, apolitici, militari, civili. Sono arristocratici, operai, artigiani, commercianti, professionisti. Vengono da un impegno attivo e rischio coscientemente assunto nella resistenza, o sono stati presi per caso e per fare numero, per essersi trovati nel luogo sbagliato o per non aver rinnegato la religione e l’identità ebraica.. Alle Fosse Ardeatine arrivano da tutti i quartieri e borgate di Roma, Trastevere e Montesacro, Torpignattara e Trionfale, Portico d’Ottavia e Centocelle, Testaccio e La Storta. Molti sono nati a Roma; ma a Roma la gente è venuta da tante parti, e alle Fosse Ardeatme finiscono vite cominciate in Abruzzo, in Puglia, a Torino, nei Castelli romani in Lussemburgo, in Ungheria, in Turchia, in Ucraina…
Roma è una città dove il peso della storia rischia di frustrare e isterilire la memoria, o comunque renderne irrilevante l’ascolto. A Roma, la Storia è troppo spesso una sfera estranea e lontana (Gli Indifferenti di Alberto Moravia) o un peso schiacciante che ti annulla (La Storia di Elsa Morante).
Per questo il rapporto fra Roma e le Fosse Ardeatine è così importante. In questa ricerca ho re-imparato a guardare le strade e le case della mia città. Accanto a San Pietro e al Colosseo ho visto altri luoghi della storia, altri monumenti della mia Roma: e non tanto il mausoleo delle Fosse Ardeatine, quanto certi immensi blocchi di case popolari grandi come città e bellissimi, come quelli di piazzale degli Eroi n. 8 dove Cencio Baldazzi allevò una generazione di azionisti; via Marmorata 169, con al centro del cortile il cippo messo dagli inquilini ai loro vicini morti alle Ardeatine e ad Auschwitz; “Stalingrado” a Val Melaina, roccaforte ancora oggi di coscienza di classe, anche lì con la lapide sul portone ai morti delle Ardeatine e a Forte Bravetta. E ho conosciuto, in persona o in memoria, i grandi uomini della storia popolare di Roma: Cencio Baldazzi, Vittorio Mallozzi, Enrico Ferola, Orfeo Mucci…
Le Fosse Ardeatine non sono certo l’unica né la peggiore delle stragi naziste. Ma sono l’unica strage «metropolitana» avvenuta in Europa: non solo l’unica perpetrata entro uno spazio urbano, ma l’unica che nell’eterogeneità delle vittime riassuma tutta la complessa stratificazione di storie di una grande città. Per questo e così grande la presa di questa vicenda sulla memoria e sull”identità. Certo, gli uccisi sono tutti uomini; ma questo, come vedremo, non fa che rendere centrale il ruolo delle donne nella sopravvivenza e nella memoria. Alle Fosse Ardeatine si compatta tutto lo spazio della città e un secolo della sua storia; sono il luogo simbolico dove tutte le storie convergono, e parlarne significa attraversare intera la vicenda di Roma del Novecento, «questa Città ribelle e mai domata», come dice la vecchia canzone comunista, cosi diversa dal luogo comune, che ha opposto ai nazisti una resistenza attiva e passiva intensa e dilfusa, e per questo è stata così duramente colpita.
Dove cominciano e dove finiscono le storie.
Se uno cerca «Fosse Ardeatine» su Internet, si imbatte in un sito di informazioni storico-turistiche per stranieri, che contiene una pagina dedicata a questo luogo. Comincia così: «23 March 1944 a bomb explodes in Via Rasella killing 32 German troops. In retaliation the Germans decided to kill 10 Italians for each man who was killed».
«Il racconto — scrive l’antropologo americano Bruce Jaclcson — genera i suoi confini di realtà accettabile»: niente succede prima dell’inizio, niente succede dopo la fine. Un incipit turba l’ordine, un finale lo ristabilisce. Anche nella maggior parte della storiografia e nei libri di scuola, oltre che nelle polemiche politiche e giornalistiche, via Rasella e le Fosse Ardeatine sono trattate come un evento unico e autoconcluso; questo libro si propone di contestare questo approccio. In primo luogo, come cercherò di dimostrare, l’azione partigiana di via Rasella e la strage nazista delle Fosse Ardeatine non sono un evento solo, ma due eventi distinti, connessi fra loro da una relazione evidente ma tutt’altro che automatica, anzi altamente problematica. In secondo luogo, cercherò di mostrare come la sequenza di cui fanno parte non cominci necessariamente con quell’esplosione in via Rasella, e non finisca con l’esplosione delle mine che fanno crollare le cave sui cadaveri degli uccisi.
Non comincia lì non solo perché, come ho detto sopra, non cominciano lì le storie delle persone che vi finiscono; ma anche, più immediatamente, perché via Rasella fu la più clamorosa ma non – come è diffusa credenza – l’unica azione partigiana, e nemmeno la prima, in cui tedeschi vennero uccisi nel centro di Roma: ce ne furono molte altre, e nessuna fu seguita da un’analoga rappresaglia. E non finisce lì, perché le Fosse Ardeatine non furono l’unica, e nemmeno l’ultima strage perpetrata dai nazisti nella città di Roma, ma furono precedute e seguite dai settantadue fucilati a Forte Bravetta, dai dieci fucilati a Pietralata il 23 ottobre, dalle dieci donne uccise a Ostiense per aver assalito un forno, dai quattordici massacrati alla Storta sulla via della fuga il 4 giugno, senza che fosse avvenuto a «giustificarli» nessun attentato partigiano. Per non parlare delle deportazioni di massa, con le migliaia di morti che ne seguirono: duemila ebrei tra la razzia del 16 ottobre e i capillari arresti dei mesi seguenti; centinaia di carabinieri deportati; migliaia di rastrellati per le strade; settecento razziati e deportati dal Quadraro un mese prima della liberazione. E intorno c’era la guerra, i bombardamenti, la fame, i renitenti alla leva fascista nascosti, gli sfollati accampati, il coprifuoco.
Ma la storia non si chiude lì, con l’ordine ricomposto dopo il massacro, soprattutto perché le Fosse Ardeatine non sono solo il luogo in cui molte storie finiscono, ma anche quello da cui un’infinità di altre storie si diramano, Da lì riparte una battaglia per il significato e la memoria, che si svolge sulle pagine dei giornali, nelle aule dei tribunali, nelle lapidi sui muri e nelle cerimonie: per questa «brutta storiaccia» si celebrano processi a mezzo secolo di distanza e letteralmente ci si picchia ancora. Ma più dolorosa, più costante e quasi sempre più silenziosa è la fatica e la tensione che attraversa la vita e i sentimenti di quelli che sono rimasti, genitori, coniugi, figli, nipoti, fratelli e sorelle degli uccisi. Fare la storia del lutto pubblico significa ripercorrere le mutazioni del clima politico attraverso mezzo secolo; fare la storia dei lutti personali significa interrogarsi su come è stato possibile andare avanti dopo. La storia delle Fosse Ardeatine è davvero, come nel titolo del libro di Robert Katz, la storia della «morte a Roma», ma in un altro senso: è la storia di come la città – le istituzioni e le singole persone – hanno provato a elaborare, talvolta in accordo, spesso in conflitto o ignorandosi a vicenda, il senso di questa morte di massa che eppure è morte di singoli, assurda, violenta, crudele.
Ada Pignitti aveva ventitré anni, ha perso alle Fosse Ardeatine il marito che aveva sposato da pochi mesi, e altre tre persone di famiglia. Che si sappia, nessuno era partigiano; ma si trovavano tutti vicino a via Rasella quel giorno. Racconta: «All’epoca, dopo successo il fatto, nel ’44 – non se ne parlava proprio, non si poteva parlare. Io ho lavorato per quarant’anni, quindi, anche nell’ufficio mio, alle volte, quando me domandavano qualcosa, non glie dicevo niente – perché te lo dicevano con coso [con sfida]: dice, embè, e la colpa è de quello ch’ha messo ‘a bomba. Facevo finta de non sentilli perché tanto me rispondevano sempre così: eh, però la colpa mica so’ dei tedeschi, la colpa è quello che ha messo la bomba. Dice perché se si presentava, quelli no’ l’ammazzavano. Ma ‘ndo’ sta scritta ‘sta storia? Quando l’hanno detto? Quando? Che non hanno detto proprio niente, non è vero che hanno messo i manifesti – l’hanno messi dopo, dopo che già avevano ammazzato i trecentotrentacinque. Perché noi abbiamo seguito giorno dopo giorno tutte le tragedie; e gliel’ho detto, quando abbiamo letto quello sul giornale lo me so’ sentita male, mia cognata appress’a me. Non ce potevi nemmeno ragiona’ perché dice che fai, stai a difende’ quelli che hanno mess’a bomba? Io non difendo nessuno, perché le cose so’ così, è inutile che le vogliamo sconvolge’».
L’alibi della colpa dei partigiani esorcizza la presenza di queste persone che col solo esserci incrinano la tranquillità delle coscienze. Per ognuno di loro è stato difficile e penoso fare i conti sulle ragioni e sulle cause, e le conclusioni cambiano da persona a persona. Lo stesso vale per i partigiani che presero parte all’attacco di via Rasella e ad altre azioni armate. «Il fatto di dare la morte, di distruggere, è una cosa che ti distrugge a te stesso, ogni volta un pezzetto ti leva», dice Carla Capponi. Anche per loro, venire a termini con questa vicenda è stato un lavoro lungo e complesso, dagli esiti molteplici: dall’impegno per la memoria di alcuni al silenzio di altri, dalla milizia politica degli uni al lavoro professionale e intellettuale di altri.
fonte: www.minimaetmoralia.it

domenica 23 marzo 2014

calciopoli: sette anni di campionati falsati


Motivazioni sentenza definitiva Calciopoli, "sette anni di campionati falsati"!


calciopoli-sentenza-pdfNonostante sia un grande tifoso di calcio, non amo trattare l'argomento sul mio blog (forse sarà la seconda o terza volta che pubblico un articolo riguardante il calcio), ma davanti a notizie simili non ho potuto far finta di nulla, soprattutto davanti alla disinformazione e l'indifferenza che le nostre tv propinano ogni giorno! Mi riferisco naturalmente alle motivazioni della Corte d’appello di Napoli sul caso-Calciopoli (che ha confermato la condanna di Moggi, Pairetto e Mazzini per associazione a delinquere), lo scandalo che ha scosso il calcio Italiano nel 2004/06, motivazioni che non lasciano spazio ad interpretazioni ma che chiariscono definitivamente com'era l'andazzo nel campionato di calcio italiano.

Per tutti quelli che ancora farneticano fantomatiche verità, per quelli che spudoratamente ancora chiedono la restituzione degli scudetti (quando invece patteggiando hanno ammesso le proprie responsabilità), per tutti quelli che ancora tentennano o cercano assurde scuse o si nascondono davanti, "ma anche loro hanno fatto uguale", per le troppe diatribe da bar che spesso senti ancora in tv (già chissà se le trasmissioni sportive - Rai e Mediaset - daranno lo spazio che merita una notizia simile, ma ho la sensazione che invece passerà stranamente inosservata), personaggi che sarebbero dovuti sparire dal palcoscenico televisivo e che invece continuano tranquillamente a frequentare talk-show calcistici e raccontano le loro (false) verità, e che vengono venerati come a dei, come se nulla fosse accaduto, come se tutto lo scandalo Calciopoli sia stato solo una bolla di sapone, un'invenzione (come d'altronde poi succede anche nel mondo della politica nostrana, dove bastano pochi mesi per riabilitare anche i peggiori delinquenti davanti ai peggiori reati, reati che se commessi da noi "comuni mortali" porterebbero solo al carcere, senza "se" e senza "ma")!

Ecco di seguito uno stralcio di quanto contenuto nelle 250 pagine delle motivazioni della sentenza definitiva, riporto testuale:

"Appare indubbio che sia emerso un sistema ben collaudato, peraltro già operante dagli anni 1999-2000, fra soggetti che sulla falsariga di ‘rapporti amichevoli’ (…) ponevano in essere condotte finalizzate a falsare la reale potenzialità di alcune squadre di calcio”.

Come già i giudici di primo grado avevano ipotizzato parlando di un campionato, il 1999-2000, “sostanzialmente condizionato sino alla penultima giornata: quando si giocò Juventus-Parma, diretto da De Santis, e terminato con il risultato di 1-0; e non riuscendo nell’intento di garantire alla Juventus la vittoria finale in quanto gli accordi illeciti già stabiliti vennero compromessi dal clamore suscitato dall’arbitraggio apertamente favorevole alla squadra torinese da parte di De Santis (all’ultima giornata la Juve perse a Perugia e il titolo andò alla Lazio, ndr)”.

(...) “Molteplici e articolati – si legge nella motivazione – risultano gli elementi probatori individuanti la sussistenza dell’associazione in parola”. Riassumendo:

1) La “copiosissima mole di conversazioni intercettate fra più associati” che hanno evidenziato “in primis la gravissima intrusione in ambiti federali, della Figc, di soggetti a essa estranei, come appunto il Moggi”. E la “leggerezza e apparente convivialità con cui avvenivano accordi per le designazioni delle griglie fra personaggi come il Bergamo e il Moggi o anche il Giraudo” (pag. 103).

2) La “evidente durezza dei rapporti che intercorrevano fra alcuni partecipi al sodalizio” e “l’evidente obiettivo di impossessarsi o di mantenere un potere di controllo” (pag. 104). Sempre su Moggi, “dagli atti processuali emerge il suo ruolo preminente sugli altri sodali” dovuto alla “personalità decisa, ma al contempo concreta e priva di filtri nell’esporre le proprie decisioni” (di qui la distinzione fra “promotore” del sistema, Moggi, e “organizzatori”, Pairetto, Bergamo, Mazzini; pag. 121).

3) Le intercettazioni “sulla cui validità di genuinità e attendibilità probatoria non vi è alcun dubbio” (pag. 105).

4) “L’uso delle schede straniere, utenze utilizzate da molteplici soggetti su chiara ideazione dello stesso Moggi”. Un uso che secondo la Corte è “il punto centrale che identifica la portata della associazione in parola” (pag. 109).

5) “Le riunioni conviviali presso le abitazioni per lo più di Giraudo, Pairetto, dello stesso Moggi e anche del Mazzini” e i “successivi incontri relativi alle imputazioni di frodi sportive (il salvataggio della Fiorentina) in cui si evidenzia la concreta operatività del sodalizio” (pag. 120).

6) Il ruolo “affatto secondario, ma anzi di rilievo nel sodalizio ricoperto dagli imputati Pairetto e Mazzini: i quali in forza della funzione loro attribuita hanno di fatto rafforzato il contesto e l’incidenza del sodalizio” (pag. 113).

7) “La figura assolutamente apicale nel sodalizio del Moggi Luciano” con la sua “influenza davvero abnorme in ambito federale” e la sua “molteplicità di rapporti a vario livello, fuori dalle sedi istituzionali”; per non parlare delle “eclatanti incursioni del Moggi, insieme al Giraudo, negli spogliatoi ove si trovavano gli arbitri (citati i casi di Paparesta e Farneti, ndr) che testimoniano “della abitualità e della spregiudicatezza del Moggi, spesso con il Giraudo, di intromettersi in un luogo che dovrebbe essere inaccessibile almeno ai diretti interessati ” pagg. 122-123).



Stralcio sentenza via Fatto Quotidiano

(qui la sentenza d’appello Calciopoli in pdf - via fanpage).

fonte: www.stopcensura.com

sabato 22 marzo 2014

Carlo Taormina e la vacanza in Somalia


Carlo Taormina, "Ilaria Alpi in Somalia in vacanza, è la verità". E minaccia Saviano di querela!


Rabbia, sdegno, parole grosse, insulti, minacce di querele a Roberto Saviano, è il putiferio scatenato da Carlo Taormina dopo le dichiarazioni arrivate su twitter, e in seguito al suo intervento di ieri sera su Rai Tre a "La strada della verità",  dove ha ribadito quanto già detto anni fa, "Ilaria Alpi era in vacanza in Somalia" (Taormina ha diretto i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta per la duplice uccisione della giornalista Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin), e che quindi il suo assassinio non era dovuto alle sue inchieste in Somalia ... che dire, ogni altro commento è superfluo!!!! Buona incazzatura ...


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Qui il profilo twitter di Carlo Taormina e quello di Roberto Saviano

fonte: www.stopcensura.com

quella volta che Chiara propose un sondaggio


PENSIERI CONDIVISI

Perdonatemi davvero se non compaiono tanto spesso i miei scritti ma il tempo è tiranno e io sono decisamente presa dal lavoro.

Volevo però invitarvi a condividere i vostri pensieri, le vostre fantasie, capire quali sarebbero i vostri primi desideri se vi capitasse l’occasione di condividere una serata con un’altra coppia, una serata particolare con le inibizioni lasciate fuori dalla porta.
Sapere insomma cosa solleciterebbe il vostro cuore e la vostra mentre in compagnia di una coppia desiderosa di vivere emozioni nuove.
I miei credo che li abbiate già compresi da tempo.

Esprimetevi dunque, non volgarmente o banalmente ma sinceramente perché in quei momenti tutto diventa lecito.

fonte: acquakiara.blogspot.it

amore virtuale

Inchiesta
INCONTRI SU INTERNET
l’amore in rivoluzione
di Daniela Zini
Se Internet è un mezzo formidabile e rapido per fare incontri, dobbiamo fare attenzione alle delusioni.
Non necessariamente, seguiranno belle storie d’amore.
Dobbiamo tenere bene a mente un consiglio ed è questo: non dobbiamo, assolutamente, idealizzare la persona con la quale corrispondiamo.
La realtà è tutt’altra…
Quando chattiamo con una persona senza averla mai vista, immaginiamo scenari, inconsciamente o no.
In altri termini, siamo nel fantasma. Per informazione, il fantasma non è altro che un pensiero in immagine, designa l’immaginazione. Su Internet, il nostro pensiero è alimentato dalle foto che la persona ci invia e dalle conversazioni in chat e con webcam. Inoltre, il fantasma non è su eventi reali. Il reale è la realtà di un incontro vero, dove percepiamo l’acustica, il visuale, il tattile e il linguaggio parlato.
Manteniamo, dunque, bene la testa fredda e non entusiasmiamoci.
Comprendiamo bene che, anche un buon feeling con una persona, in chat o al telefono, non significa niente, perché non ha valore di realtà, in particolare di realtà esteriore.
Il vero éveil amoroso è possibile nella realtà, al momento dell’incontro reale.
Sfortunatamente per alcuni, Internet è un nido di fantasmi!
È una delle principali trappole degli scambi via Internet, credere che una complicità o un amore virtuale si trasferisca, necessariamente, nella realtà. Pura illusione, perché le percezioni che noi abbiamo su Internet sono, completamente, diverse nella realtà.
È un pò come le nostre buone, vecchie esercitazioni pratiche di fisica al liceo, in cui la sperimentazione non verificava, esattamente, la teoria.
In teoria, ponevamo delle ipotesi e delle costanti per semplificare i calcoli!
In pratica, tutto interveniva, particolarmente, i fattori esterni reali!
Psicologicamente parlando, paragonare una corrispondenza via Internet a un incontro vero riporta a opporre immaginazione e realtà. Quando si intrattiene una corrispondenza sul Web, siamo di fronte a una entità deformata dal virtuale e sconosciuta del reale.
Talvolta, l’incontro vero volge al colpo di fulmine per uno dei protagonisti.
Un bacio, un sorriso, qualche parola ed è, già, il flash amoroso, in meno di cinque minuti, senza neppure conoscere la persona realmente.
Attenzione, dunque, alla sindrome del colpo di fulmine!
Senza rientrare in una analisi del fenomeno del colpo di fulmine, dobbiamo, semplicemente, prendere coscienza che una storia d’amore si inscrive nella durata, è una costruzione nel tempo.
Non si misura la durata, né l’intensità di un amore con indicatori quali i flashes.
Un flash amoroso è, infatti, un incontro puramente fisico.
Tutti hanno dovuto conoscere questo sentimento, un giorno?
di
Daniela Zini
1. Sempre più persone sole
Fenomeno in piena esplosione, l’incontro on-line rivela la difficoltà contemporanea di trovare l’anima gemella. Fa anche superare la messa a distanza del corpo, caratteristica delle nostre società contemporanee. Dietro i suoi aspetti ludici, questo nuovo marivaudage pone, altresì, una domanda fondamentale:
Che cos’è una relazione?”
I siti di incontri su internet e altre piattaforme di discussione on-line sono un vero fenomeno di società, che raggiungono già milioni di singles, sposati o celibi, che cercano l’anima gemella, ma anche avventure.
Come è divenuto Internet, in qualche anno, un vero Eldorado per tutte queste persone in cerca di amore?
Quali sono i codici che reggono l’incontro on-line e che ci indicano cosa sia una relazione, oggi?
Per rispondere a queste domande, ho condotto una inchiesta tra gli utilizzatori di questi siti. Devo, non di meno, ricordare che gli incontri a distanza non sono nati con Internet, ma si inscrivono in un contesto più antico e più generale di crisi dell’incontro.
  1. Il celibato, fenomeno di società
La fine degli anni 1990 ha segnato una doppia rivoluzione nelle società occidentali. Da un lato, il numero sempre crescente di singles. In Italia, sono un vero esercito, secondo l’ultimo Rapporto Eurispes. Nel 2001, erano, già, oltre 5,5 milioni e, nel 2007, il loro numero ha sfiorato i 7 milioni. Questi singles, secondo l’espressione, ormai, in uso, hanno accesso a una stupefacente visibilità mediatica e editoriale, come lo testimonia il fenomeno Bridget Jones. Dall’altro, Internet è, incredibilmente, riuscito nella sua penetrazione sociale: inventare usi e possibili imprevisti, toccare tutte le sfere della società, dall’economia al tempo libero, dalla cultura alla pedagogia.
Sembra, dunque, logico che i singles abbiano investito la tecnologia sociale, che costituisce Internet, per crearvi nuovi modi di incontro. Perché il numero crescente di celibi traduce e tradisce, innanzitutto, una difficoltà contemporanea a incontrare l’anima gemella, anche se molti fattori disparati e complessi hanno contribuito alla lenta evoluzione della coppia tradizionale.
Urbanizzazione, emancipazione politica, economica e sessuale della donna, pressione dei discorsi mediatici, tragica apparizione dell’AIDS…, dalla fine degli anni 1950, le coppie e il modo di vivere l’amore si sono, già, trovati disorientati, a più riprese, prima dell’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione: prima Minitel, poi il cellulare, infine Internet.
Successivamente, l’ascesa in potenza del “controllo sociale” (di origine nord-americana) delle relazioni ha reso ancora più complessi i processi classici di seduzione – l’“abbordaggio” del latin lover è descritto e denigrato come pratica retrograda, primaria, insultante –. E questo, talvolta, fino alla giuridicizzazione, con la banalizzazione della nozione di molestia morale e sessuale.
Parallelamente a questa “glaciazione” dei rapporti, i singles hanno visto, da qualche anno, gli specialisti del mercato dell’editoria e del tempo libero, gli sceneggiatori cinematografici e televisivi, i pubblicitari e i terapeuti interessarsi a loro, con una premura, proporzionalmente, eguale alla manna che rappresentano.
Alla fine degli anni 1990, le condizioni erano mature perché la Rete dovesse porsi come una gigantesca macchina per produrre contatti, tessere legami, generare relazioni.
Il computer sforna, ormai, avventure e storie d’amore e le coppie su Internet si contano a migliaia.
  1. Nuovi modi di incontro
Se, per lungo tempo, ci si è sposati, obbedendo a logiche di classe e di comunità, si privilegia, oggi, lo sbocciare personale e professionale e delle esperienze relazionali e amorose plurime. Ancora prima della formazione della coppia, la prima difficoltà, oggi, per il single, è, dunque, l’incontro. Per ovviare a questa crisi, le agenzie matrimoniali hanno, a lungo, riempito una funzione sociale, discreta ed efficace.
Ma, dagli anni 1960, altri modi di incontro, meno implicanti delle agenzie, meno onerosi, preservando un confortevole anonimato: sui giornali e sulle riviste, sono fioriti i piccoli annunci.
Vi è stato, poi, negli anni 1980, Minitel, solforoso, controverso, che è stato, non di meno, una formidabile sperimentazione sociale, quindici anni prima del boom di Internet.
  1. Il Net, una rivoluzione sociale e relazionale
Ma, dalla fine degli anni 1990, Internet, i siti di incontri e i forums di discussione modificano le strategie di seduzione. La rivoluzione è già quantitativa, tanto il Net ha conosciuto una infatuazione incredibile per interconnettere milioni di persone, che cercano qualcuno da amare, e, soprattutto, costituire un incredibile internazionale del celibato.
Sui siti di incontri, ciascuno diviene il proprio cyberagente matrimoniale.
Uno pseudonimo, una scheda di presentazione, un breve testo che riassume la personalità e la ricerca, una foto eventualmente, ed ecco il (o la) single pronto(a) a entrare nel gran ballo mascherato del Net sentimentale. Poi, si scrivono messaggi nelle caselle di posta elettronica – la relazione è allora asincrona – o si chatta in diretta sulle piattaforme di discussione, chatting forums.
Cronofaga, la pratica è così assorbente che numerosi Web-singles soffrono di Net addiction, che indica quello che certi specialisti descrivono come la tirannia dello scambio o l’ossessione del legame.
Rivoluzione sociale e amorosa, Internet rappresenta, anche, una rivoluzione relazionale, tanto che i timidi possono osare là quello che non si permetterebbero nella vita reale. Sul Net, sono liberati dallo sguardo altrui e sgravati dalla pesantezza di quei corpi, di cui non sapevano cosa fare prima.
Protetti, ormai, dallo schermo, dall’anonimato dello pseudonimo e dall’assenza dei corpi, ben lontani dai luoghi di rappresentazione sociale, i singles possono permettersi ogni audacia. Orgoglio, timidezza e riservatezza sono estromessi da un “clic”, irrimediabilmente relegati al rango di scorie relazionali del prima del cyberworld. A rischio di vedere generalizzare lo zapping relazionale e l’industrializzazione dell’abbordaggio. Perché si passa dagli uni/dalle une agli altri/alle altre, senza giustificazione né una spiegazione, e il gioco delle lettere copia-incolla permette di contattare decine di persone, allo stesso tempo.
Dalle homepages, i siti di incontri propongono modi di ricerche molto competitivi, accompagnati da liste di amici, di indesiderabili, black lists, e di coups de coeur. Questo insieme di fattori consacra una nuova epoca relazionale, caratterizzata da un realismo e da un pragmatismo, che tendono a escludere i pericoli, gli sbagli, gli errori. E la logica sentimentale che si impone è, ostensibilmente, consumerista: riduzione dei rischi di ogni genere, categorizzazione dei termini della ricerca, tentativo di messa in adeguamento tra proprie aspirazioni e contorni molto e, sovente, troppo precisi di partner ideali  e di coppia sognata. Con, sovente, l’illusione che si seleziona al meglio colui (o colei) da amare, in funzione dei molteplici criteri fisici, sociali e morali.
Si può, a buon diritto, parlare di marketing amoroso.
Ma il contesto numerico è anche il primo che vede sconosciuti divenire intimi, innamorarsi virtualmente, sedursi senza conoscersi, riconfigurando, se si può dire, lo stato sociale e filosofico della relazione. Prima, la relazione, a fortiori amorosa, si fondava sull’incontro dei corpi, in prima lettura (vedere la tematica romantica del colpo di fulmine illustrata da Fedra davanti al bell’Ippolito).
Ed era, allora, che tutto iniziava.
La Rete permette di fare le cose all’inverso, perché ci si scopre dall’interno.
  1. Donne e uomini: aspettative diverse
Il Net sentimentale dei siti di incontri si fonda su una serie di asimmetrie fondatrici. Parlando d’amore, una differenza radicale oppone gli uomini e le donne quanto alle aspettative, fonte di molti malintesi e altrettante disillusioni.
La maggior parte delle abbonate sono là perché sperano in un incontro serio, perfino, nell’incontro che cambierà la loro vita. La tematica del principe azzurro è onnipresente e si trova sui siti di incontri un superimpiego femminile delle maiuscole che assolutizzano l’amore e i valori afferenti. Le donne tendono, infatti, a magnificare i loro incontri virtuali e dissociano il sentimento amoroso dal desiderio sessuale. Il Net può essere un eccellente mezzo per fuggire il corpo.
Sui siti di incontri, gli uomini, al contrario, sono numerosi nel ricercare avventure rapide che, eventualmente, sfoceranno in amore. Perché, quasi sempre, sono dissociati per loro il sesso e la fiamma. E Internet è, accessoriamente, divenuto il primo vettore degli adulteri numerici.
Teleabbordaggio, marivaudage e libertinaggio on-line hanno più che mai il vento in poppa, grazie ai siti di incontri.
Qualche decennio dopo i balbettamenti di Minitel, ecco ritornata la moda della “sessualità orale”, vale a dire parlata.
Questo nuovo erotismo si fonda sullo scambio epistolare – poi, rapidamente, telefonico – di fantasmi tra abbonati che hanno, già, annodato una relazione virtuale intima. Più che un epifenomeno, questa telesessualità rientra ancora in questa messa a distanza generalizzata e in questo controllo totale che il ( e soprattutto la)single postmoderno(a) spera di esercitare nell’assoluto.
Perché è molto seducente controllare il desiderio altrui e giocare?
Perché, perfino, godere di questo controllo?
E sono numerosi a evocare la onnipotenza derivante dalla gestione di decine di relazioni amorose virtuali, condotte simultaneamente.
  1. Internet, legame sociale e legame amoroso
La Rete e la sua espansione attuale producono effetti sociali e relazionali considerevoli. Ma, innanzitutto, la Rete pone domande sociologiche di importanza, perché Internet, né più né meno, rinnova le nozioni di legame sociale e di relazione, obbligando a pensarli altrimenti.
Che cosa è una relazione?
Non solo un faccia a faccia, ma un legame che può oltrepassare la presenza e il viso, per trovare la propria origine altrove, prima di essi, per esistere senza essi. I criteri classici e millenari di definizione della relazione sono stati, totalmente, stravolti dall’irruzione di Internet.
Da quindici anni circa, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione pongono, acutamente, una vera domanda epistemologica, operando, soprattutto, una rivoluzione copernicana, perché si assiste a un cambiamento di prospettiva.
La prima delle rivoluzioni di Internet risiede, infatti, in questo decentramento e questa disincarnazione dei rapporti sociali, che continuano, tuttavia, a generarsi, checché ne pensino i denigratori del Net.
Ora, i singles sono i primi beneficiari di questa metamorfosi del sociale. La vivono intensamente, con i rischi e le delizie nuovi, legati alle specificità del Web.
Internet è, forse, una nuova forma di quello che Gregory Bateson chiamava una “struttura che collega”. Si tratta di una matrice sociale che, alla maniera dei riti o delle feste, genera un legame e contribuisce a generare e a produrre la società nello spessore insondabile e nella profondità intangibile dei suoi arcani. Le tecnologie sociali di una società iperindividualista producono, paradossalmente, le condizioni di una nuova “connettività”, che aggrega solitudini collettive.
Gustave Flaubert affermava:
Non sono le perle che fanno la collana, ma il filo.”
Singles nel Net e perle nella collana, infine, la metafora è limpida.
Sono, ormai, poca cosa gli uni senza gli altri.
Perle e filo di lunga data, singles e Web molto recentemente.
Segno dei tempi, sicuramente…
IN CONCLUSIONE
Teniamo bene a mente due concetti:
  • le compatibilità teoriche e virtuali non hanno, sfortunatamente, alcun valore fintanto che non avremo, veramente, incontrato la persona;
  • anche se la persona che abbiamo di fronte è affascinante e seducente, cerchiamo di saperne di più prima di andare su di giri e di farci dei films.
Manteniamo bene i piedi per terra.
Gli incontri su Internet permettono di fare veri incontri. E, allora, occorrerà rientrare in un gioco di seduzione reale per poter concludere.
Il vero Amore verrà, forse, dopo, con il tempo e per la durata della relazione.
L’Amore è il frutto di un incontro fusionale e passionale tra due persone, ma occorre che vada nei due sensi!
Se siamo innamorati, mentre l’Altro non si cura di noi, occorre farcene una ragione.
L’amore, che celere nasce, è più lento a guarire.”
Daniela Zini
Copyright © 26 ottobre 2011 ADZ
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