CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

sabato 31 dicembre 2016

i mille segreti custoditi dalla Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci


A cura di Riccardo Magnani (Lecco, 14 Dicembre 2016) 

Non si può dire che esista uno solo dei dipinti di Leonardo che non nasconda tra le sapienti pennellate date dal genio fiorentino uno o più segreti, tanto da scatenare le fantasie di ricercatori e scrittori di tutto il mondo. 

Ve n’è però uno che li batte tutti, in questa speciale classifica, e la cui storia è ingarbugliata sin dalla sua misteriosa origine: sto parlando della Vergine delle Rocce. 

Il dipinto venne commissionato a Leonardo il 25 aprile 1483 dalla Confraternita laica milanese dell’Immacolata Concezione, per essere sistemato nella Chiesa di San Francesco Grande, oggi distrutta; è la prima commissione ufficiale da quando, secondo gli studiosi, Leonardo giunge a Milano pochi mesi prima. Il contratto, a cui presero parte anche i fratelli De Predis, due pittori presso i quali Leonardo ebbe il suo primo domicilio milanese, inizialmente prevedeva un trittico: una Madonna centrale, al cospetto di Dio e un gruppo di angeli, da eseguirsi da parte di Leonardo, e due dipinti laterali, con quattro angeli per ciascuno, nell’atto di cantare in uno e di suonare nell’altro, da eseguirsi da parte dei fratelli De Predis. 

Gli studiosi non sanno spiegare in maniera unanime quali furono i motivi per cui Leonardo disattese la commissione della Confraternita, ipotizzando anche un improbabile quando fantasioso ricatto ordito ai danni della Confraternita, con l’intento di spillare più soldi, ma si limitano a sostenere che la versione originale non fu mai consegnata ai Confratelli, ai quali, dopo un lungo contenzioso tra Leonardo e la Confraternita stessa, fu consegnato un secondo dipinto...

Oggi gli studiosi contano tre copie del dipinto, erroneamente tutte attribuite a Leonardo, e si trovano rispettivamente una a Parigi, presso il Museo del Louvre, una seconda a Londra, presso la National Gallery, e una terza, detta Cheramy, conservata in un caveau in Svizzera. Queste ultime due sono palesemente ad opera di allievi, per una serie innumerevole di particolari che non starò in questo momento a richiamare, tanto sono evidenti: quella londinese ad opera di Ambrogio De Predis, mentre quella svizzera è al momento più difficilmente attribuibile, ma non certo di mano leonardesca.

La versione dipinta da Leonardo, quella originale e mai consegnata alla Confraternita dell’Immacolata Concezione, è dunque chiaramente quella conservata al Louvre, nei cui Archivi è conservato anche un disegno, poco conosciuto al grande pubblico, che ne risulta perfettamente sovrapponibile.
Di questo soggetto, che presenta la Vergine Maria al cospetto di un Angelo e le figure infantili di Cristo e del piccolo Giovanni Battista, com’è naturale che sia vista la folta schiera dei pittori allievi di Leonardo (i cosiddetti Leonardeschi), esistono una infinità di riproduzioni, ad opera di Giampietrino, Marco d’Oggiono e molti altri.

Già qui emerge la prima anomalia: a differenza di quanto avviene per la copia di Londra (opera del De Pedris) e la copia conservata ad Affori (senza attribuzione), che presentano entrambe una serie di guglie montuose come nell’originale, quasi tutti i Leonardeschi presentano una raffigurazione ambientata sì nella stessa grotta, ma con un paesaggio di sfondo differente, ovvero con una città lacustre ai piedi di una montagna, come si può vedere da una parziale carrellata degli stessi.
E’ sufficiente un primo, rapido confronto, per poter immediatamente constatare come la grotta in cui tutte queste rappresentazioni vengano ambientate sia la grotta di San Giovanni Battista, sita in località Laorca, sopra Lecco.

Rimandando ad altri miei lavori per conoscere le implicazioni per cui il legame tra Leonardo da Vinci e la città di Lecco è così serrato (di cui allego una parte in calce a questo mio scritto * ), da una ulteriore analisi panoramica della montagna in cui è contenuta la grotta stessa, osservandola da sud, si comprende quale sia il motivo per cui Leonardo inserisca nello sfondo della grotta dipinta non la città di Lecco e il lago su cui si affaccia, come sarebbe naturale che fosse, bensì le guglie caratteristiche della Val Calolden e della Bastionata Segantini che definisce il profilo della Grigna meridionale, riconoscibili nel dipinto una ad una, compreso il Sasso Cavallo e il Sasso Carbonari, che sembrano invece essere mani che cingono il profilo superiore della grotta stessa.


La scelta operata da Leonardo nel completare il paesaggio antistante la grotta in questo modo innaturale è chiaramente volto a dare un’indirizzo di carattere direzionale all’osservatore, sebbene la grotta sia dipinta dall’interno, e questo è giustificato dal fatto che altrimenti, a rigor di logica, se Leonardo avesse inteso effettuare una raffigurazione fedele avrebbe posto la città di Lecco sullo sfondo.

Anche l’osservazione di alcuni particolari del dipinto, che trovano conferma negli elementi naturali della grotta di Laorca, confermano questa mia lettura; mi riferisco alle guglie caratteristiche e a una particolare formazione della roccia calcarea posta nella parte in alto a destra del dipinto, che altrimenti poteva essere scambiato per un elemento strutturale in legno.

Ad avallare ulteriormente la bontà di questa lettura, si considerino anche le specie botaniche presenti nell’opera, endemiche della zona in cui la grotta è posizionata, ovvero l’Aquilegia, cara a Leonardo, e il Mapello, entrambe presenti nelle immediatezza della grotta. 

Sebbene già di per sé queste mie considerazioni rappresentino un cospicuo materiale in contribuzione alla rinnovata comprensione e alla lettura che fino ad oggi ne veniva data di questo dipinto, la cui gestazione come abbiamo visto in apertura di articolo è stata oggetto di controversia feroce, è proprio da qui in avanti che la Vergine delle Rocce ci svela i suoi segreti più intimi e affascinanti. 

Infatti, sulla parte destra della grande apertura formatasi durante l’ultima deglaciazione, come residuo dei ghiacci imprigionati nel materiale terroso e roccioso e poi discioltisi lasciando la cavità come oggi la vediamo, più o meno in corrispondenza della posizione in cui Leonardo colloca la Vergine e l’angelo, si scorgono due sagome, sulle quali gli agenti atmosferici e il tempo hanno purtroppo avuto il sopravvento. 

Nonostante in questi casi sia facile finire preda della suggestione, soprattutto quando si approcciano materie così complesse, sottoposte a un numero infinito di studi nel corso dei secoli e avendo già ipotizzato così tante letture innovative, qualsiasi approfondimento, nel caso di specie, non ha fatto altro invece che dare ulteriori elementi non solo di conferma della prima impressione raccolta, ma addirittura in grado di dare ulteriori riletture sul dipinto originale.


Procediamo dunque per gradi. 

La prima, inattesa e straordinaria conferma deriva dal fatto che, effettivamente, le due sagome corrispondono a due statue. Per essere più corretti, sarebbe più giusto dire che corrispondono a quel che ne resta, o si può intuire di esse, in quanto la corrosione del materiale calcareo, dunque poco resistente, è molto pronunciata. Soltanto da una visione frontale, e col calare delle tenebre, si può avere piena conferma di quella che altrimenti sarebbe stata soltanto una suggestione, seppur affascinante, ma non comprovabile.


Soltanto da una visione frontale, e col calare delle tenebre, si può avere piena conferma di quella che altrimenti sarebbe stata soltanto una suggestione, seppur affascinante, ma non comprovabile.

Quando la luce solare scema, infatti, e si rende necessario l’ausilio di un faretto alogeno, come per magia, la statua che nel dipinto è corrispondente alla Vergine, rivela la sua vera identità.

Il raffronto con qualsiasi volto dipinto o disegnato da Leonardo balza immediatamente all’occhio, fino a rendere quasi riconoscibile l’acconciatura di una Leda.


A questo punto, diviene persino legittimo assumere che non solo Leonardo ambienti in questa grotta l’intera rappresentazione, ma addirittura esista la concreta possibilità che vi abbia persino scolpito una statua, e che quella statua sia ancora lì ad allietare lo sguardo di chi l’ha saputa riconoscere e mettere in condivisione.

Ancora una volta, però, la Vergine dai mille segreti non smette di stupirci. 

E’ vero che il volto è la parte più riconoscibile della statua, e ancora non sono in grado di dare una spiegazione al fatto che il volto prenda una sua definizione tangibile solo al calar delle tenebre, mentre alla luce del sole è praticamente irriconoscibile, ma anche la parte del corpo, una volta appurato trattarsi di una statua della Venere, situata nella grotta in cui senza ombra di ragionevole dubbio Leonardo ambienta la Vergine delle Rocce, uno dei suoi celeberrimi capolavori, ha una sagoma riconoscibile.


Quello che invece stona nella statua presente nella grotta, rispetto alla versione della Vergine conservata al Museo del Louvre, è una curiosa protuberanza presente davanti al busto della stessa, quasi fosse un tronco che nasce dal grembo della donna. 

Alla luce delle iconografie rinascimentali in cui la Vergine tiene in braccio il bambino, anziché a lato, come nella versione proposta da Leonardo, legittima il sorgere spontaneo del dubbio che in braccio alla statua della grotta, quella protuberanza sia ciò che resta di un bimbo, la cui erosione del tempo e degli agenti atmosferici hanno fatto perdere l’originaria silhouette. 


Un confronto con immagini pittoriche similari e contemporanee conforta in effetti e incoraggia l’assunzione di questa ipotesi. Di nuovo, la Vergine dai mille segreti fa sorgere spontaneamente numerosi interrogativi; in questo caso, su chi possa avere scolpito una statua che, ancora dopo 500 anni, mantiene inalterata tutta la grazia e la bellezza che solo un volto leonardesco sa offrire in visione.

E di nuovo, la Vergine si dimostra generosa con chi ha saputo guardare all’opera di Leonardo con gli occhi puri di un bimbo, scevro d a c o n d i z i o n a m e n t i e d a sovrastrutture mentali e culturali fuorvianti. Preparando materiale per una delle tante conferenze che sono chiamato a tenere in giro per l’Italia, infatti, e lavorando a una elaborazione della Vergine delle Rocce parigina mi sono trovato dinanzi alla soluzione di questo ennesimo segreto, custodito così discretamente nonostante milioni di occhi la scrutassero incessantemente per centinaia di anni.

Là dove ho ipotizzato potesse esserci un bambino, almeno assumendo per un solo secondo che la statua in grotta fosse l’originale e il dipinto conservato al Louvre una sorta di rivisitazione, anche pensando alle dicerie che circolano circa la commissione di questo quadro che ho voluto riassumervi in apertura di questo articolo, e quindi volendo trovare una spiegazione recondita al perché Leonardo non consegnò il proprio dipinto al Priore della Congregazione dell’Immacolata Concezione, ho fatto una scoperta ancora più sensazionale di tutte quelle raccontatevi.
La Vergine delle Rocce di Leonardo, conservata al Louvre, ha un terzo braccio!

Il terzo braccio, che a questo punto, con ogni probabilità, era il secondo ed era originariamente concepito da Leonardo, è proprio in corrispondenza di dove la Vergine avrebbe un braccio se volesse tenere sul suo grembo un bimbo!!

Questo nuovo elemento cambia ulteriormente l’ordine degli accadimenti, rendendo probabile il fatto che la statua nella grotta fosse stata scolpita da Leonardo prima di quella dipinta per la Confraternita, o almeno è ipotizzabile che in origine statua e dipinto erano similari. Poi qualcosa è intervenuto facendo cambiare a Leonardo l’impianto pittorico della tela, trasformandolo nella versione che oggi conosciamo come così esposta al Museo del Louvre di Parigi e che i suoi contemporanei hanno potuto osservare e copiare. 


Non è la prima volta, dopotutto, che Leonardo modifica pesantemente un suo dipinto; l’esempio più clamoroso è costituito proprio dal suo dipinto più famoso, la Gioconda, che il francese Pascal Cotte ha evidenziato esser stato parecchio rimaneggiato.

Anzi, proprio dall’analisi delle risultanze del lavoro di Cotte emergono a raggiera, attorno al capo della Mona Lisa degli spuntoni di ferro che il ricercatore non ha saputo descrivere se non come spuntoni per acconciatura. 

Della pittura originaria, poi abrasa da Leonardo per definire l’odierna sagoma, ne sono evidenziati dalla scansione in profondità dodici.

Questo importantissimo particolare della Gioconda, finora quasi impercettibile, determina tra l’altro un ulteriore collegamento molto profondo tra l’opera leonardesca e il territorio lecchese, in quanto richiama senza possibilità di errore la Sperada, la tipica acconciatura lombarda con cui le giovani donne che si fidanzavano dichiaravano la propria uscita dalla fase adolescenziale, dichiarandosi Promesse Spose. 

Non è un caso che la Sperada fosse portata da lucia Mondella, la Promessa Sposa di Renzo Tramaglino, nel romanzo storico ambientato tra Lecco e Milano da Alessandro Manzoni. 

Tornando allora alla Vergine delle Rocce, nel cercare di risolvere questo ulteriore interrogativo, può venirci sicuramente in soccorso il sito in cui la grotta di Lorca si trova, frequentato sin dall’antichità dai Celti. La memoria di questa frequentazione è testimoniata da un sedile della fertilità, perfettamente orientato al sole nascente nel solstizio estivo del 21 giugno. Ho potuto verificare di persona con alcuni miei collaboratori come esso venga puntualmente illuminato al sorgere del sole dietro l’antistante Monte Due Mani in quella data. 


Non stiamo svelando nulla di nuovo, dopotutto, in quanto viene ormai universalmente riconosciuto, in campo accademico, come le vicende testamentarie di Gesù Cristo ricalchino il culto solare del Sol Invictus, e le figure di Giovanni Battista (a cui la grotta in cui Leonardo ambienta la Vergine delle Rocce) e del Cristo stesso sono espressione reciprocamente dei solstizi estivo e invernale.

Che sia stata proprio questa la ragione che ha indotto Leonardo a cambiare il senso della committenza originaria, intendendo legare l’opera proprio a Gesù e Giovanni Battista come riproposizione di due momenti del ciclo solare essenziali in ogni cultura? 

Anche in questo caso non sarebbe la prima volta che Leonardo associ nelle proprie opere un messaggio legato al culto solare, celandolo sotto una rappresentazione a sfondo cristiano. L’esempio più evidente è rappresentato dalle tre finestre dell’Ultima Cena, che ripetono un’antichissima tradizione con cui l’uomo intendeva legare le strutture dedicate al culto solare ai momenti di solstizio ed equinozio, usanza a cui le stesse chiese cattoliche non si sottraggono.


Al momento non è dato di sapere se questa ipotesi possa avere titolo per essere annoverata plausibile, anche se tutto, attorno alla grotta, lo lascia intendere.

E lo lascia intendere anche il fatto stesso che tra il 21 e il 23 di dicembre, data del solstizio invernale, il sole sorga in maniera frontale rispetto alla grotta stessa, valicando il monte Magnodeno, e illuminando l’ingresso della grotta e la Vergine stessa.

Di nuovo, come per il sedile della fertilità posto in direzione del solstizio estivo, emerge chiaro il confronto con l’antica religione celtica, in cui lo spirito che incarnava il solstizio invernale era quello della Grande Madre che donava la vita, tutelava la fertilità e le soglie fra i Mondi. 

La Dea veniva rappresentata come una Dea seduta, con una enorme cornucopia in mano (mito che presso i romani diventava la celebrazione dei Saturnali, festeggiati tra il 17 e il 23 dicembre).


A mero titolo di curiosità, voglio inoltre qui ricordare che il mito sciamanico celtico prevedeva l’ingestione dell’Amanita Muscaria per avere visioni e varcare la soglia fra i Mondi; il copricapo rosso che caratterizzava i neoplatonici, nella cui influenza culturale Leonardo era cresciuto, e che annoverava su tutti Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Poliziano, tra gli altri, era un rimando simbolico proprio all’Amanita e alla sua funzione “trascendentale”. 

Al di là di tutto quanto appena descritto, quale che sia la motivazione per cui effettivamente Leonardo cambiò gli accordi sottoscritti con il Priore della Confraternita dell’Immacolata Concezione, al momento, resta un mistero ancora insoluto; però indubbio quanto tutto ciò rappresenti un ulteriore elemento di legame solido tra Leonardo e la città di Lecco, come da tempo vado dicendo, e andrebbe certamente considerata, fattivamente e concretamente, l’ipotesi di poter mettere tutto ciò al servizio della città e del territorio, anziché respinto con sterili e risibili motivazioni come avviene puntualmente. 

Da un punto di vista della ricerca, invece, forse comprendere cosa si nasconda sotto al dipinto oltre a quel secondo braccio che, come abbiamo visto, con ogni probabilità era stato concepito per sostenere il figlio della Venere, potrebbe aiutarci a fare ulteriore chiarezza. 

A questo punto, quindi, non posso che rivolgere pubblicamente la mia richiesta anche al Direttore del Louvre, Monsieur Jean-Luc Martinez, affinché tramite l’equipe specializzata di una Università Italiana, riconosciuta nel mondo intero per questo tipo di analisi e con cui sono già in contatto personalmente, e il supporto video di una troupe della BBC, mi conceda il privilegio di intraprendere una scansione non invasiva del dipinto e appurare la presenza di questo braccio, la cui sagoma è appena intuibile ad una osservazione a occhio nudo del dipinto, così da poter avvalorare un ipotizzabile cambio di intenzione dell’artista e capire, dalla scansione stessa, altri importanti particolari che ne possano derivare. 

 Al tempo stesso sono a chiedere alle autorità competenti, siano esse locali, nazionali ed europee, che la grotta e la statua ivi contenuta, in quanto collegate indissolubilmente alla montagna che le ospita, siano dichiarate Patrimonio dell’Umanità e messe in sicurezza, al fine di renderne sicura e fruibile a tutti la visita, senza minimamente comprometterne l’integrità e la preservazione nel tempo. 

Riccardo Magnani 

fonte: https:crepanelmuro.blogspot.it

addio fatale 2016, mai così tante morti eccellenti: perché?

La scomparsa di George Michael contribuisce a fare del 2016 l’anno nero della musica pop, dopo la perdita di David Bowie, Prince e Leonard Cohen, nonché del cantante degli Eagles, Glenn Frey, e di uno degli eroi di Woodstock, Paul Kantner, leader dei Jefferson Airplane. Ma non c’è solo musica nel “cimitero” del 2016: se ne sono andati due grandissimi come Fidel Castro e Muhammad Alì. Morti pure Shimon Peres e Dario Fo, Giorgio Albertazzi e Umberto Eco. Il grande cinema piange Michael Cimino, Abbas Kiarostami, Gene Wilder, Ettore Scola. Stando al necrologista della “Bbc”, Nick Serpell, nei primi tre mesi del 2012 erano stati solo 3 i “coccodrilli” tirati fuori dal cassetto, mentre nello stesso periodo del 2016 la cifra è salita subito a 24. Vale anche per le carrellate di foto che “Corriere.it” dedica ogni anno all’elenco delle persone famose scomparse: 50 decessi nel 2013, quasi 100 nel 2014. Molti personaggi celebri che se ne sono andati nel 2016, annota Federica Seneghini sul “Corriere dario fo”, appartenevano alla cosiddetta generazione del baby boom, nata tra il 1946 e il 1964. «Oggi i babyboomers hanno tra i 52 e i 70 anni. In Italia gli over 65% sono il 22%. La fascia d’età 65-69 è quella in cui il tasso di mortalità fa un brusco salto in avanti, pari a 10,2 ogni 1.000 abitanti».
Lo schema è chiaro, secondo il “Corriere”: «Più persone nate in una certa fascia di tempo, più persone diventate famose, più persone che oggi sono anziane e quindi hanno più probabilità di morire. Molte star morte nel 2016 sono babyboomers: Prince Alì e Fidel(57 anni), David Bowie (69), Anna Marchesini (63), Alain Rickman (69), Victoria Wood (62), Gianroberto Casaleggio (61), Johan Cruyff (68), Glenn Frey (67)». Tra le varie spiegazioni che si possono trovare a questo “Spoon river”, aggiunge il giornale, c’è anche il culto delle celebrity, che «dagli anni Cinquanta a oggi, è cresciuto esponenzialmente grazie a cinema, tv e globalizzazione: da 60 anni a questa parte sono sempre di più gli sportivi, altezze reali e i cantanti considerati famosi». C’è poi il “fattore social”, che trasforma in notizie di massa quelle che in una lontana epoca pre-Facebook non lo erano affatto. «Un esempio: quella della morte della star del wrestling Chyna, ripresa in Italia dai media nazionali. Fino a qualche tempo fa sarebbe risultata accessibile (e di interesse) solo a una ristretta cerchia di fan».
Secondo Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia dei media digitali all’università di Urbino, ormai «bastano pochi clic per trasformare notizie che fino a qualche tempo fa sarebbero state di nicchia», restituendoci dunque l’impressione che le persone più o meno famose muoiano più di prima. Esiste anche un sito, Deathlist.net, che pubblica (dal 1987, all’inizio di ogni anno) la classifica delle 50 persone famose che molto probabilmente moriranno entro 12 mesi. «Tra i candidati di quest’anno – scrive Federica Seneghini – finora il sito ci ha preso 7 volte, azzeccando la scomparsa del giocatore di cricket Martin Crowe, dell’ex presidente della Fifa Joao Havelange, dell’attore Abe Vigoda, dell’ex first lady Nancy Reagan, dell’ex segretario generale dell’Onu Boutros-Ghali, del presentatore tv Cliff Michelmore e di Muhammad Ali». Certo resta impressionante, l’elenco dei Il geniale regista iraniano Abbas Kiarostami“caduti”, soprattutto nell’ambito della musica: se n’è andato Keith Emerson, tastierista e anima degli Emerson, Lake & Palmer, seguito dal suo bassista Greg Lake. Addio anche a George Martin, produttore dei Beatles, nonché a Pete Burns, frontman dei Dead or Alive (“You spin me round”), e a Maurice White, fondatore e leader degli Earth, Wind & Fire
In Italia ci ha lasciati il cantautore Gianmaria Testa. Poi il cinema e la televisione: oltre ad Anna Marchesini del trio Lopez-Marchesini-Solenghi e al presentatore Luciano Rispoli sono scomparsi Franco Citti, Paolo Poli, Lino Toffolo e Carlo Pedersoli (Bud Spencer). Il cinema internazionale ha perso il polacco Andrzej Wajda, lo statunitense Garry Kent Marshall (“Pretty woman”, “Happy days”), gli attori Alan Rickman (della serie “Harry Potter”), Douglas Wilmer (Sherlock Holmes). Nonché Michael Massee, Peter Vaughan, Zsa Zsa Gabor, l’italiana Silvana Pampanini e la scrittrice Harper Lee, autrice de “Il buio oltre la siepe”. Addio anche a Franca Sozzani, storica direttrice di “Vogue Italia”, all’oncologo Umberto Veronesi, a Marco Pannella, a Carlo Azeglio Ciampi, all’astronauta e pioniere dello spazio John Glenn. E poi a Carrie Fisher di “Star Wars”, seguita tragicamente da sua madre, Debbie Reynolds.

fonte: www.libreidee.org

mercoledì 28 dicembre 2016

l'amore canino


il mondo al contrario

E' agghiacciante vedere come le masse aggrediscano chi non si conforma all'informazione di regime

(mainstream), ormai chi non crede ciecamente alla TV (e a tutti i mezzi di informazione di regime) viene ridicolizzato e nei peggiori dei casi aggredito verbalmente. 

Molti di questi insorgono dicendo che i liberi pensatori non dovrebbero dire la propria sul web, vorrebbero che i media principali avessero il dominio dell'informazione al 100%. Non gli basta che i media mainstream influenzino già miliardi di persone, vorrebbero che non ci fosse nessuna controparte. Ma poi cosa c'è di male a pensare con la propria testa, a voler indagare sulla veridicità dei fatti propinati dai media di regime? Perché chi fa questo viene visto come un eretico da ridicolizzare e aggredire ? Purtroppo i media sono la nuova Bibbia, in occidente avendo quest'ultima perso il suo potere (essendo anche obsoleta) è stata rimpiazzata dalla TV (e i media di regime in generale). La gente non capisce che la TV (come lo è stato per al Bibbia) sono fatti da uomini, e gli uomini si sa, possono mentire ed essere corrotti, quindi lo sbaglio non è quello di pensare con la propria testa, ma quello di credere ciecamente a qualsiasi fonte, questo vale sia per i media di regime che per quelli alternativi. Chi pensa con la propria testa e indaga sulle informazioni ricevute andrebbe premiato, e non ridicolizzato. Comunque come dico sempre nei miei articoli, questo è un mondo al contrario, un mondo che ama auto-flagellarsi e auto-lesionarsi e aggredisci chi invece vuole essere sano e proteggersi.

A noi liberi pensatori ci rimane solo il web, (e i libri per chi può permettersi di auto-produrseli). In più internet non è come la TV che ti entra in casa e ti da un informazione passiva, dove non hai possibilità di replica; il web è diverso, sei tu a scegliere tra l'oceano di pagine e video esistenti nella rete, nessuno ti obbliga ad andare in pagine che ti danno fastidio, in più cosa importantissima sul web puoi in tempo reale replicare o fare un articolo che smonta quello da te appena letto. C'è libertà assoluta, non esiste che persone che esprimano il proprio pensiero in maniere educata e ben argomentata, vengano aggredite. La libertà di parola è sacrosanta; e non parlo di libertà di insulto o di fomentare odio, che è un altra cosa. Quindi cari pro-pensiero-unico, abbiamo solo internet, lasciatecelo stare.

Beppe Caselle
http://beppecaselle.blogspot.it/

Garantisco che ci sono aggressioni verbali anche sul web, basta dire qualcosa non conforme al pensiero comune, argomentare educatamente e presentare prove e ricerche per dimostrare la falsità' di alcune  credenze non basta,  ci si ritrova lo stesso bersagliati da insulti, resta cmq uno spazio dove cercando si può trovare e capire come stanno davvero le cose

IvanoV Antar Raja

http://altrarealta.blogspot.it/

martedì 20 dicembre 2016

Hayek, il profeta dell’élite che ha rottamato la democrazia

Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».
La sua pubblicazione nel 1960 segnò la transizione da una filosofia rispettabile, anche se estrema, ad un caos totale, scrive Monbiot, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Quella filosofia era chiamata neoliberalismo. «Considerava la Friedrich von Hayekcompetizione come la caratteristica distintiva delle relazioni umane. Il mercato avrebbe trovato la sua naturale gerarchia di vincitori e perdenti, e ne sarebbe risultato un sistema più efficiente di quanto sarebbe stato possibile attraverso la programmazione o la progettazione». Attenzione: «Qualsiasi cosa impedisse tale processo, come tasse sostanziose, regole, attività sindacali o incentivi statali, era controproducente. L’imprenditorialità senza restrizioni avrebbe prodotto una ricchezza con effetti positivi a cascata su tutti». Quando Hayek iniziò a scrivere “The Constitution of Liberty”, «la rete di lobbisti e pensatori che aveva creato stava ricevendo generosi finanziamenti da parte di multi-milionari che vedevano questa dottrina come un modo per difendere se stessi dalla democrazia». Hayek inizia il libro suggerendo la concezione più semplice possibile di libertà: l’assenza di coercizione. Rifiuta nozioni come libertà politicadiritti universali, uguaglianza degli esseri umani e distribuzione equa della ricchezza.
Tutti concetti che, limitando il campo d’azione di ricchi e potenti, si interpongono tra loro e l’assoluta libertà dai vincoli a cui ambiscono. La democrazia, al contrario, «non è un valore supremo o gradito a tutti». Infatti, la libertà consiste nell’impedire che la maggioranza abbia potere decisionale sulla direzione che la politica e la società decidono di prendere. Hayek «giustifica questa visione delineando una narrativa epica di estrema prosperità», e identifica l’élite economica «con un gruppo di pionieri della filosofia e della scienza che spenderanno il loro denaro in modi nuovi». Così come il filosofo politico dovrebbe essere libero di “pensare l’impensabile”, allo stesso modo «chi è molto ricco dovrebbe essere libero di tentare l’infattibile, senza vincoli posti dall’interesse collettivo o dall’opinione pubblica». E allora i super-ricchi diventano «esploratori» che «sperimentano nuovi stili di vita», tracciando la strada che il resto della società seguirà. Il progresso della società «dipende dalla libertà di questi “indipendenti” di guadagnare tutto il denaro che vogliono e di spenderlo come meglio Margaret Thatchercredono. Tutto ciò che è buono e utile, quindi, deriva dall’ineguaglianza». Non ci dovrebbe essere connessione tra merito e ricompensa, nessuna distinzione tra guadagni giusti e immeritati e alcun limite agli affitti che possono far pagare.
Inoltre, la ricchezza ereditata è socialmente più utile di quella guadagnata: «Il ricco indolente», che non deve lavorare per denaro, può dedicarsi a influenzare «aree di pensiero e opinione, gusti e idee». Anche quando sembra che spenda soldi solo per uno «sfoggio senza senso», sta in realtà agendo da avanguardia della società. Tutto ciò che il ricco fa è, per definizione, positivo. Hayek ammorbidì l’opposizione ai monopoli e irrigidì quella verso i sindacati. Criticò la tassazione progressiva e ogni tentativo da parte dello Stato di elevare il benessere generale dei cittadini. Insistette che ci fossero «argomentazioni schiaccianti contro la sanità pubblica gratuita per tutti» e respinse l’idea della salvaguardia delle risorse naturali (non stupisce che abbiano dato il Nobel per l’economia). Sicché, «quando la signora Thatcher sbatté il suo libro sul tavolo, si era già formata su entrambe le rive dell’Atlantico una vivace rete di think tank, lobbisti e accademici che promuovevano la dottrina di Hayek, abbondantemente finanziata da alcune delle persone e compagnie più ricche del pianeta, compresi DuPont, General Electric, la società di birrificazione Coors, Charles Koch, Richard Mellon Scaife, Lawrence Fertig, il William Volcker Fund e la Earhart Foundation».
Usando in modo geniale la psicologia e la linguistica, continua Monbiot, i pensatori sponsorizzati da queste persone trovarono le parole e le argomentazioni necessarie per trasformare l’inno all’élite di Hayek in un programma politico plausibile. Il Thatcherismo e il Reaganismo? Due facce del medesimo neoliberismo: «L’imponente taglio alle tasse per i ricchi, l’attacco ai sindacati, la riduzione degli alloggi popolari, la liberalizzazione, privatizzazione, delocalizzazione e la concorrenza nei servizi pubblici erano già stati teorizzati da Hayek e dai suoi discepoli». Ma il vero trionfo di questo network, sottolinea Monbiot, non fu la sua “innovativa” concezione del diritto, bensì «la conquista di partiti che un tempo erano schierati a favore di tutto ciò che Hayek detestava», cioè le formazioni politiche “di sinistra”, che furono completamente “colonizzate”. Bill Clinton e Tony Blair «estrapolarono alcuni elementi di ciò che un tempo i loro partiti avevano creduto, lo combinarono con idee prese in prestito dai loro oppositori, e da questa improbabile combinazione diedero vita alla “terza via”. Bill ClintonEra inevitabile che lo sfavillante e rivoluzionario entusiasmo del neoliberalismo avrebbe esercitato una forza di attrazione più potente della stella morente della democrazia sociale».
Dovunque, allora, si poteva assistere al trionfo di Hayek: dall’ampliamento della Private Finance Initiative di Blair alla revoca da parte di Clinton del Glass-Steagal Act, che regolava il settore finanziario. «Nonostante le sue lodevoli intenzioni, nemmeno Barack Obama aveva una narrativa politica ben definita (eccetto la “speranza”), e lentamente è stato cooptato da coloro che detenevano migliori mezzi di persuasione». Il risultato di tutto ciò è stato «prima l’indebolimento del potere e poi la privazione dei diritti civili». Se l’ideologia dominante consiglia ai governi di non garantire più la giustizia sociale, «essi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato», e così «la politica diventa irrilevante per le vite dei cittadini». Al che, il cittadino defraudato dei propri diritti «si rivolge verso un’astiosa anti-politica, dove fatti e ragionamenti vengono sostituiti da slogan». Il risultato di oggi è paradossale, dice Monbiot: proprio la sollevazione popolare contro la “dittatura” del neoliberismo «ha portato al successo proprio quel tipo di uomo che Hayek mitizzava», cioè Donald Trump, ovvero un uomo «che non ha una visione politica coerente, non è un neoliberale classico, ma è la perfetta rappresentazione dell’“indipendente” di Hayek: è il beneficiario di una fortuna ereditata, non assoggettato ai comuni limiti della moralità, le cui rozze inclinazioni aprono nuove strade che altri potrebbero seguire».
I pensatori neoliberali adesso «brulicano intorno a questo uomo vacuo, a questo vaso vuoto che aspetta di essere riempito da coloro che sanno bene cosa vogliono». Il probabile risultato «sarà la demolizione di tutto ciò che ancora ci fa onore, a cominciare dall’accordo sulla limitazione del riscaldamento globale». Conclude Monbiot: «Coloro che raccontano storie governano il mondo. La politica è fallita a causa della mancanza di narrative valide. La sfida principale adesso è raccontare una storia nuova, quella di cosa significhi “umanità” nel ventunesimo secolo». Un nuovo “racconto”, dunque, che «deve essere tanto seducente per coloro che hanno votato Trump e lo Ukip, quanto per i sostenitori di Hillary Clinton, Bernie Sanders o Jeremy Corbyn». La psicologia e le neuroscienze riconoscono che gli esseri umani, rispetto ad altri animali, sono al tempo stesso fortemente sociali e fortemente egoisti? Certo, e «l’atomizzazione e il comportamento cinico che il neoliberalismo promuove va contro quasi tutto ciò che caratterizza la natura umana. Hayek ci ha detto chi siamo, e si sbagliava. Il primo passo da compiere è riappropriarci della nostra umanità».

fonte: www.libreidee.org

venerdì 16 dicembre 2016

sogni spolverabili



un tizio sembra intenzionato a stuprare una ragazza, ed invece la prende in braccio e la bacia sulla bocca. Prima di andarsene, s'infila un dito nel sedere.

Tenda da campeggio o lenzuolo!? Nonostante ciò, il tutto appare asettico.

Gruppo di persone guardano con molto interesse un evento televisivo, dibattito socio-politico o corsa dei cavalli? Scommesse?

Salgo su un'autobus prima vestita e poi subito dopo essere scesa, coperta dalla vita in su, dalla canottiera e dalla vita in giù, da un'asciugamano,

Mi trovo a partecipare a presunti banchetti o feste, dove il cibo non scarseggia, ne abbonda. Ad un certo punto chiedono di me, mi allontano e quando torno mi accorgo di trovarmi con solo indosso la biancheria intima. Presa dall'ansia, cerco i vestiti ma non li trovo.

Nel luogo di lavoro precedente, ogni volta, non si sa per quale motivo, non timbro l'uscita.

A casa di Rocco Siffredi, alcuni invitati credono di essere scelti per un film hard. Uno di questi, si chiude in bagno defecando di continuo. Due si nascondono in un armadio e credendo dapprima di trovare dei sex toys, scorgono con stupore una serie di libri. A fine serata, tutti gli invitati sono congedati con i libri.

domenica 11 dicembre 2016

Venezia

– Ti è mai accaduto di vedere una città che assomigli a questa? – chiedeva Kublai a Marco Polo sporgendo la mano inanellata fuori dal baldacchino di seta del bucintoro imperiale, a indicare i ponti che s’incurvano sui canali, i palazzi principeschi le cui soglie di marmo s’immergono nell’acqua, l’andirivieni di battelli leggeri che volteggiano a zigzag spinti da lunghi remi, le chiatte che scaricano ce- ste di ortaggi sulle piazze dei mercati, i balconi, le altane, le cupole, i campanili, i giardini delle isole che verdeggiano nel grigio della laguna. 
L’imperatore, accompagnato dal suo dignitario forestiero, visitava Quinsai, antica capitale di spodestate dinastie, ultima perla incastonata nella corona del Gran Kan.
– No, sire, – rispose Marco,– mai avrei immaginato che potesse esistere una città simile a questa. L’imperatore cercò di scrutarlo negli occhi. 
Lo straniero abbassò lo sguardo. Kublai restò silenzioso per tutto il giorno. 
Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie. D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell’Augusto Sonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchezza. 
– Dimmi ancora un’altra città,– insisteva. 
 – ...Di là l’uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante... – riprendeva a dire Marco, e a enumerare nomi e costumi e commerci d’un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d’arrendersi. 
Era l’alba quando disse: – Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco. 
– Ne resta una di cui non parli mai. 
Marco Polo chinò il capo. 
– Venezia, – disse il Kan. 
Marco sorrise. 
– E di che altro credevi che ti parlassi? 
 L’imperatore non batté ciglio. 
– Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome. 
E Polo: – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. 
 – Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia. 
– Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia. 
– Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia cosí com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei. 
L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano. 
– Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, – disse Polo. – Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta poco a poco.

fonte: https://nuovateoria.blogspot.it

sabato 3 dicembre 2016

ma perché votare No, se poi comanda la mafia euro-Ue?

«L’orrenda verità è che qui in Italia ci possono lasciare un Senato, due, otto, o toglierlo e farne uno di bambù, o possono farne uno coi Sette Nani, Totti e la Blasi, ma qui in Italia non cambia nulla». Per Paolo Barnard, l’unico No che avrebbe senso, il 4 dicembre, «sarebbe quello di un’Italia dove la cittadinanza poi si fa sentire, sia dalla Camera che dal Senato, per riprendersi i suoi diritti», che ci sono stati “scippati”, nell’ultimo quarto di secolo, da governi e Parlamenti sostanzialmente d’accordo sul grande piano: rottamare l’Italia, asservendola al super-potere del business imposto da Bruxelles con la revoca della sovranità nazionale. Se si capisce questo, perché mai votare? «Per mantenere un sistema bicamerale che dal 1992 a oggi ha solo firmato la distruzione d’Italia? E’ questo il sistema bicamerale che volete mantenere?», si domanda Barnard. Senza un vero No al regime Ue e all’Eurozona, ogni altro voto è perfettamente inutile, sostiene il giornalista, autore del saggio “Il più grande crimine”, nel quale mostra come l’Italia sia stata “terminata”, per volere dell’élite finanziaria, col pieno consenso dei politici al potere, di destra e di sinistra.
La lista degli eventi catastrofici è sterminata: «Governi tecnici fino all’ultimo D’Alema, poi Monti e Letta», quindi «le 14, diventate poi più di 36, nuove flessibilità sul lavoro dal ‘Baffetto’ in poi», senza contare «gli interventi militari», cioè «crimini Paolo Barnardcontro l’umanità» in Kosovo, Afghanistan, Iraq, poi «l’appoggio italiano al disastro libico». Ma anche «i salvataggi bancari da Tremonti in poi, per ben oltre 110 miliardi di euro». E soprattutto: «I Trattati di Maastricht, Lisbona, Europact, Six Pack, Fiscal Compact, Pareggio di Bilancio in Costituzione». E ancora: l’Efsf, il Mes, l’European Semester e tutto l’impianto dell’Eurozona, «che certificarono la più indicibile perdita di sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale della storia d’Italia, e lo sprofondamento del paese nei Piigs», da cui «lo scannatoio-pensioni della riforma Fornero/Modigliani, l’attacco all’articolo 18 e la finanziarizzazione del diritto di pensionamento, il Jobs Act e il resto dell’abominio della nano-economia di Renzi», con in mezzo «le spending review di Cottarelli e Grilli, il massacro civile dei Patti di Stabilità dei Comuni».
Barnard denuncia anche «la violazione di 17 articoli della Costituzione italiana per mano dei governi Monti e Letta col benestare di Napolitano», nonché «la continuata umiliazione di Roma che bela pietà a Bruxelles prima di poter passare una legge di bilancio, o per poter spendere 10 euro per i cataclismi naturali o per l’arrivo dei migranti, mentre Francia e Germania se ne sbattono il cazzo di Bruxelles dal primo giorno dell’entrata in Eurozona». Da segnalare anche «la mancata regolamentazione delle più fallite banche di tutta Europa con 360 miliardi di euro di buchi contabili», e poi «gli aumenti di Iva proiettati al 24% e una pressione fiscale oscillante dal 44 al 72% reali, la seconda più alta al mondo». E chi ha votato questo abominio? Chi non vi si è opposto? «Risposta: una Camera dei Deputati, e un Senato, italiani. E adesso mi si viene a dire che l’apocalisse della democrazia italiana è l’eliminazione di quel Senato? Ah, perché prima invece ci tutelava?». Per Grillo con Di MaioBarnard, mantenere un Senato in Italia, «dopo la sua vomitevole performance degli ultimi 24 anni», ha un senso «solo e la cittadinanza capisce che non è una questione di avere Camere, Senati, sgabuzzini e tinelli», ma sovranità vera.
La questione, insiste Barnard, è «avere una cittadinanza che capisca cosa pretendere da Camere e Senati, e che pretenda subito: via dall’Eurozona dell’economicidio, via dall’Europa dei tecnocrati, dal mostro di Bruxelles». Bisogna «riprendersi tutte le sovranità: legislative, monetarie, costituzionali». Occorre «capire le operazioni monetarie per ottenere la piena occupazione, il dominio pubblico sul sistema finanziario e la supremazia dell’interesse pubblico sui profitti del settore privato», e cioè «espandere il deficit di Stato a moneta sovrana, fino alla rinascita del paese». Ma Barnard è ultra-pessimista: «Nulla mai cambierà, per noi, anche con una o due Camere, due o cinque Senati, perché quell’opinione pubblica che capisca cosa pretendere da un Parlamento non ce l’abbiamo». In Gran Bretagna c’è un bicameralismo ‘snello’ che ha una specie di Senato, i Lords, che costano la metà del nostro Senato e non possono bocciare le leggi della Camera. «Ma di chi è il merito della più grande rivoluzione europea dal 1848, quella esplosa il 23 giugno con Brexit?  Non certo del loro bicameralismo ‘snello’. E’ dei britannici, che si sono fatti sentie dalla politica sul tema vitale per il loro paese, ovvero la fuga dall’Unione Europea dell’economicidio». Da noi invece c’è solo Grillo, conclude Barnard: un «buffone stellato», che agli speculatori non fa nessuna paura.

fonte: www.libreidee.org