CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

mercoledì 24 giugno 2020

se chiudiamo gli studenti in una campana di vetro



Lucia Azzolina Ministro dell'Istruzione
Marcello Veneziani

Ma voi pensate sul serio che dovremo comprare dieci milioni di campane di vetroresina per metterci dentro gli studenti? Ma siete cretini, fate i cretini o ci credete cretini? E voi pappagalli, che nei media riferite seri e precisi i dettagli della gigantesca operazione di tumulazione in massa degli studenti in bare trasparenti, siete dementi, lavorate per dementi o considerate dementi i vostri lettori e spettatori, anzi i cittadini tutti? Ma avete pensato solo un attimo a quel che state dicendo e scrivendo, illustrandolo perfino con foto, progetti e disegni di queste cabine per immunostudenti; non avvertite l’ala sovrana dell’imbecillità avvolgere voi tutti, la scuola, il governo, i commissari, la ministra Azzolina e l’Italia intera?
Pensate, solo un attimo, per favore, non vi nuocerà alla salute farlo, almeno per un istante. Un paese che in tre mesi non è stato in grado di coprire il fabbisogno (a pagamento) di mascherine, cioè della cosa più piccola e banale che si potesse produrre, dovrebbe ora in un lasso di tempo uguale se non inferiore, dotare tutte le scuole italiane – le fatiscenti scuole italiane dove non si trovano i soldi per riparare un tubo – di una decina di milioni di campane di vetro, e della relativa manutenzione, sanificazione quotidiana. Anche il milione d’insegnanti sarà ricoverato in un astuccio di plexiglass e si muoverà tra gli studenti dentro una navicella trasparente che dovrà essere disinfettata a ogni cambio d’ora. Il sottinteso inquietante di tutto questo investimento massiccio e marziano è che quelle campane di plexiglass dovranno essere usate in permanenza nella scuola di oggi e di domani.
Non sarebbe infatti pensabile allestire questi cimiteri viventi in tutte le scuole di ogni ordine e grado, intubare milioni di ragazzi e docenti sani, compiere un’operazione finanziaria e strutturale così gigantesca, solo per fronteggiare l’eventuale rischio stagionale che il virus torni in autunno. No, evidentemente si sta pensando di convivere stabilmente con la paura della pandemia e la sua profilassi; i ragazzi verranno confezionati in barattolo come i cetriolini sott’aceto e i carciofini sott’olio, per tutto il loro corso di studi. Altrimenti dovrei dire che si pensa a questo investimento pazzesco e fugace solo per dare soldi a qualcuno e riceverli sottobanco – è il caso di dire – da qualcuno…
Ora ricapitoliamo i dati per tornare alla realtà e per rassicurarci che non stiamo in qualche film comico di fantascienza. Stanno pensando di riaprire le scuole in presenza e in sicurezza. Per realizzare questo progetto si mettono al lavoro imponenti comitati tecnico-scientifici, task force, aziende di consulenza che producono prototipi, sciami di amministratori e commissari governativi, più la Ministra dalle labbra rosse, evoluzione hard della maestrina dalla penna rossa. Si studiano le proposte più strane, caschi permanenti o perlomeno visiere, pannelli parafiato e parasputi in plexiglass, corridoi umanitari per accedere alle scuole in sicurezza, tunnel di vetroresina come qelli che collegano gli spogliatoi ai campi da gioco, grembiulini per alieni, cabine come ai tempi dei telefoni a gettoni…
L’unico precedente che io ricordi di una cosa del genere è Rischiatutto, il quiz di Mike Bongiorno degli anni settanta, dove i concorrenti dovevano entrare in una campana di vetro per rispondere al quiz. La definizione di Rischiatutto mi pare peraltro la più appropriata per descrivere il rischio sanitario e la sua profilassi. Qui però non si vince niente, non sono in gioco i soldi ma solo la salute; soprattutto mentale. Naturalmente la storia dei concorrenti televisivi sotto vetro risale agli albori della televisione, da Lascia o Raddoppia a Campanile sera.
La realtà, la scuola, sta diventando un’imitazione tardona della televisione.
La cosa più bella della scuola di ieri erano i banchi condivisi con un compagno, poi quello davanti, quello di dietro, quello di fianco con cui trescare, chiacchierare, scambiarsi informazioni e compiti; la cosa più bella era alzarsi, incontrarsi, toccarsi, avvicinarsi alla cattedra, senza essere respinti come appestati, vivere insieme l’avventura quotidiana della scuola. Guardarsi negli occhi, parlarsi viso a viso senza sentirsi nel parlatorio dei carcerati o allo sportello delle poste. Non si può andare a scuola equipaggiati da astronauti, da sommozzatori, da contagiati. Non si può andare a scuola pensando che la priorità non sia studiare, sapere, capire, ma proteggersi dal prossimo, tenersi a distanza, temere il docente più per il contagio che per il giudizio. Scansare non le interrogazioni ma gli sputi della docente e dei compagni di vetro-classe. Non si può insegnare, imparare, vivere, comunicare, in quelle condizioni. Per favore, diteci che ci state prendendo in giro, che avete allestito uno scherzo per coglionarci in massa, per prendervi gioco di noi. Perché non si può pensare davvero che un paese, un governo, un intero sistema scolastico, un ministero della pubblica istruzione possano con serietà occuparsi di queste costosissime minchiate (lo dico a scopo didattico nel gergo originario della ministra sicula).
Perché poi alla fine, dopo aver distrutto la società, i rapporti umani, il lavoro, l’economia, la scuola, l’istruzione, uno è costretto a dire che il rischio eventuale di un virus diventa a questo punto il minore dei mali, e comunque solo ipotetico. Mentre tutti gli altri mali elencati sono reali, effettivi e decisamente più incurabili. Nelle campane di vetro lasciateci santi e madonne.

Tratto da "La Verità" del 6 giugno 2020

fonte: DISINFORMAZIONE

sabato 20 giugno 2020

Digital Service Act: l'Europa prepara le nuove regole per le piattaforme online


La Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, a fine gennaio ha pubblicato le linee guida politiche per il periodo 2019-2024, nel quale sono riassunti gli obiettivi da raggiungere. Tra questi “un’Europa adatta all’era digitale”. I documenti confermano che la Commissione è impegnata nella stesura di norme: per i servizi digitali (Digital Service Act), per l’intelligenza artificiale (il Libro biancoqui un commento di Fabio Chiusi), un quadro per la governance dei dati, un piano d’azione per i media, la revisione delle norme sulla concorrenza, nuove norme in materia di tassazione e così via. Infine, la Commissione ha pubblicato la Comunicazione "Shaping Europe's digital future".
Una delle questioni che si propongono con sempre maggiore forza riguarda la regolamentazione delle piattaforme online e quindi la regolamentazione dei contenuti pubblicati da tali piattaforme o semplicemente immessi sui loro server dagli utenti.

Anche di questo si occuperà l'Europa nei prossimi mesi, in particolare tramite il Digital Service Act. L'approccio dell'UE mira a realizzare una terza via, con riferimento alla tecnologia, rispetto agli Usa e alla Cina. È piuttosto evidente che Cina e Usa sono più avanti tecnologicamente parlando, basta osservare che la maggior parte delle piattaforme del web sono americane, mentre le aziende tech che sempre più spesso sono sotto i riflettori (ad esempio in tema di riconoscimento facciale) sono spesso cinesi. L'approccio europeo è quello di realizzare una governance delle nuove tecnologie, tramite delle regolamentazioni che grazie alla loro validità (si pensi al GDPR) vengono progressivamente riprese e adattate da altri paesi.

Le norme in preparazione, per quello che qui ci interessa, partono da una serie di assunti, tra i quali:
  1. I social network devono fronteggiare troppe norme nell’occuparsi di hate speech, differenti norme tra i vari Stati dell’Unione, e regole diverse tra contenuti di testo e contenuti video.
  2. Non esistono regole vincolanti e comuni sulla pubblicità e in particolare su quella politica, per cui il micro-targeting cross border risulta facile da operare e può portare a campagne di disinformazione.
Problemi del mercato e obiettivi delle norme

C’è da premettere che il problema principale non è dato dall’assenza di regole. In realtà, infatti, le piattaforme online sono già ampiamente regolamentate: la direttiva copyright di recente riformata, la direttiva sul commercio elettronico, il regolamento sulla protezione dei dati personali, la Framework Directive (2002/21/EC) sulle reti e i servizi di comunicazione, la Comunicazione sulla repressione dei contenuti illeciti online, la direttiva Audio Video Media Services (AVMS), la direttiva per la protezione dei consumatori (2011/83/UE), il Codice di condotta sull’hate speech e così via.
I problemi, invece, sono i seguenti:

1) Norme frammentarie e divergenti: la frammentarietà delle norme, variando tra nazione e nazione, rende impossibile per i servizi che operano in tutti gli Stati dell’Unione conformarsi ad una pluralità di norme differenti. Ciò complica enormemente la possibilità di realizzare il Digital Single Market, un mercato unico digitale per l’intera Unione europea.

2) Regole obsolete e lacune normative: esiste anche un’esigenza di adeguamento delle norme, alcune delle quali (pensiamo alla direttiva sul commercio elettronico) sono risalenti nel tempo e quindi non proprio adatte alla realtà tecnologica odierna. Ad esempio, la distinzione tra provider (hostingcachingconduit…) appare insufficiente a categorizzare le nuove realtà (cloud services, content delivery networks, domain name services), e quindi rende difficile alle aziende nascenti capire a quali regole conformarsi. Lo stesso concetto di host attivo/passivo non è esente da critiche (l'art. 14 della direttiva eCommerce non richiede che l'hosting sia passivo per applicarsi l'esenzione prevista, ma solo che non abbia consapevolezza o controllo sul contenuto) e si ritiene che debba essere sostituito da qualcosa che rifletta meglio le realtà odierne. Di contro le norme in materia di responsabilità delle piattaforme per i contenuti degli utenti, in particolare la proibizione del monitoraggio generale e l’esenzione da responsabilità per le piattaforme, sono ritenute essenziali per lo sviluppo dell’ambiente digitale, anche se necessitano di alcuni aggiustamenti (e chiarimenti).

3) Incentivi insufficienti per affrontare il problema dei contenuti illeciti: uno dei problemi più sentiti riguarda la rimozione di contenuti illeciti (o semplicemente dannosi). Per come è configurata la normativa, come detto sopra, attualmente una piattaforma non è responsabile dei contenuti immessi dagli utenti se non ne ha consapevolezza o controllo (art. 14 della direttiva sul commercio elettronico). In caso contrario ne diventa responsabile a meno che non rimuova il contenuto (l’esenzione si applica se la piattaforma rimuove). È da notare che non c’è consenso sulla definizione di piattaforma (per la Commissione europea: un’impresa che opera in due o più mercati, che utilizza Internet per consentire interazioni tra due o più gruppi distinti ma interdipendenti di utenti in modo da generare valore per almeno uno dei gruppi), ma il termine è spesso utilizzato per sostituire quello di provider ritenuto non più attuale.

Con le nuove norme si stanno moltiplicando gli obblighi di filtraggio dei contenuti, per cui le piattaforme devono controllare i contenuti, e tale forma di controllo (monitoraggio generale) alimenta la paura delle piattaforme di diventare responsabili per i contenuti immessi dagli utenti (se controlli i contenuti ne diventi consapevole). Questo è un disincentivo alla gestione dei contenuti illeciti e la Commissione si preoccupa di dover chiarire meglio il quadro normativo in materia.

4) Supervisione pubblica inefficace: un aspetto fondamentale riguarda il controllo pubblico. Il rapido emergere dei servizi digitali ha reso sempre più difficile per i governi attuare delle efficaci politiche di controllo di questi servizi, alcuni dei quali hanno assunto dimensioni di “servizio pubblico”. La molteplicità delle regolamentazioni e l’assenza di un’autorità dedicata alle piattaforme rende difficile analizzarne il comportamento e quindi eventualmente imporre oneri e sanzioni. Oltretutto la complessità del business di alcune piattaforme rende dispendioso, in termini di tempi e costi, le istruttorie delle varie autorità settoriali esistenti (esempio: autorità per la protezione dei dati personali, autorità per la concorrenza). Paradossalmente in alcuni casi le varie autorità settoriali possono imporre oneri in contrasto tra loro.

Tutto ciò può portare alla delega di funzioni statali alle stesse piattaforme, senza però un necessario e efficace controllo pubblico su come vengono esercitati tali “poteri” delegati, anche in settori nei quali sono a rischio i diritti fondamentali dei cittadini. Il problema, secondo la Commissione, si pone principalmente in relazione alla moderazione dei contenuti e alla trasparenza della pubblicità (es. campagne di microtargeting).

5) Elevate barriere all’ingresso per i servizi innovativi: per come si presenta nel suo complesso la regolamentazione attuale ha un effetto dissuasivo sulle aziende che volessero avviare un nuovo servizio digitale in Europa. Un mercato frammentato, con regole diverse a seconda delle nazioni, è tale da creare delle vere e proprie barriere all’ingresso del mercato digitale europeo, in tal modo favorendo i servizi già esistenti che finiscono per consolidare la loro posizione semimonopolista.

Da questi problemi nascono le nuove proposte normative con i seguenti obiettivi:
  • Costruire una regolamentazione uniforme e chiara per le piattaforme che sia adatta a alimentare l’innovazione.
  • Tutelare i diritti degli utenti durante l’uso dei servizi digitali.
  • Assicurare la cooperazione tra i vari Stati membri dell’Unione e il controllo pubblico dei servizi digitali.
l Level playing field

Nel riformare la regolamentazione esistente si ritiene essenziale anche cercare di non imporre degli oneri eccessivi alle aziende per evitare che ciò possa castrare la capacità innovativa del settore, che appare l’elemento forse più importante nell’ecosistema digitale. La differenza principale, infatti, tra le “piattaforme” (non-linear provider) e le aziende tradizionali (linear provider) sta proprio nella capacità di collegare i fornitori e gli utenti, consentendo la creazione di “valore”. È quello che si definisce il “network effect” (il valore di un servizio aumenta in relazione al numero degli utenti, pensate ad un social network con un solo utente).
Questo effetto è dirompente (disruptive) e crea degli ovvi problemi ad analoghi servizi che non fruiscono delle esternalità di Internet. Da qui le tante aziende tradizionali che, da un lato cercano di spostare progressivamente i loro servizi nell’ecosistema digitale, dall’altro pressano i legislatori per l’introduzione di nuove regole (oltre quelle già esistenti) per bilanciare l’effetto dirompente delle nuove tecnologie. La conseguenza è il “level playing field”, che è il principio fondamentale sul quale si basano le proposte legislative europee a partire dal 2015 (Digital Single Market). Il level playing field (che potremo tradurre con “parità di condizioni”) è un principio in base al quale tutti i giocatori devono sottostare alle medesime regole (non vuol dire, però, che tutti i giocatori devono avere le stesse possibilità di successo).

Con la comunicazione sulla strategia del Digital Single Market nel 2015, la Commissione europea evidenzia che la rapida diffusione dei servizi OTT (Over the top, es. VOIP) è una minaccia per gli operatori telefonici tradizionali (incumbent). Questi ultimi, infatti, sono soggetti ad una serie di oneri (interconnessione, qualità dei servizi, protezione dei consumatori, ecc...) che non toccano, invece, gli OTT pur costituendo questi ultimi dei “sostituti funzionali” dei primi. Gli OTT, invece, sono soggetti alle meno onerose regole della direttiva AVMS e della direttiva sul commercio elettronico. Da ciò la Commissione ricava la necessità di estendere le regole dei servizi tradizionali anche agli OTT. In realtà, la cosa è un po’ più complessa, perché la Commissione ha intenzione di avviare una serie di norme tese a deregolamentare i servizi tradizionali, e nel contempo introdurre un set di regole specifiche per gli OTT, ma il concetto sostanzialmente è quello di realizzare un level playing field.
Creating the right conditions for digital networks and services to flourish – this requires high-speed, secure and trustworthy infrastructures and content services, supported by the right regulatory conditions for innovation, investment, fair competition and a level playing field.
Analogamente, la Comunicazione sulle piattaforme del 2016 introduce alcuni principi per una riforma della regolamentazione delle piattaforme online, tra i quali l’introduzione del level playing field. Anche con la Risoluzione sulle piattaforme online del 2017, la Commissione richiama l’esigenza di un level playing field tra le piattaforme online e gli altri servizi in competizione, estendendo il principio anche agli operatori non-UE.
Infine, con la recente Comunicazione Shaping Europe’s digital future, la Commissione richiama la necessità di assicurare un level playing field per le imprese, piccole e grandi, quindi un livellamento tra l’offline e l’online. E le norme anticoncorrenziali sono viste come ausilio al level playing field.
Quindi, l’Unione europea non solo ha una normativa piuttosto complessa sulle piattaforme, ma ha anche una politica sulle piattaforme, con un serie di iniziative già in atto. L’idea alla base è la convergenza delle regolamentazioni: a servizi analoghi deve corrispondere analoga regolamentazione.

Ad esempio la direttiva Copyright

L’impressione, però, è che l’approccio proposto non sia privo di problemi. In tal senso è piuttosto interessante la recente riforma della direttiva copyright, che si inquadra nel DSM e quindi si ispira anch’essa al level playing field, cioè creare condizioni di parità tra grandi piattaforme online ed editori, emittenti e artisti. La proposta di direttiva includeva originariamente un obbligo di utilizzo di sistemi di filtraggio preventivo dei contenuti, che col tempo è stato modificato (nel testo approvato) in obbligo di impedire il caricamento di contenuti in violazione dei diritti dei titolari. Il che non modifica la situazione perché l’unico modo di impedire il caricamento di contenuti in violazione dei diritti dei titolari, dato l’enorme numero di contenuti che viene caricato dagli utenti su queste piattaforme, è tramite l’utilizzo di sistemi di filtraggio dei contenuti.

Nei meeting relativi alla discussione dell’attuazione della direttiva Copyright, ascoltando le aziende che producono questi software di filtraggio è apparso certo (Copyright stakeholder dialoguesmeeting 16 gennaio 2020) che tali software non analizzano in alcun modo il contesto, ma si limitano a verificare la corrispondenza di un contenuto con l’“impronta” dell’originale. Questo è un problema, perché se per i contenuti pedopornografici, ad esempio, non esiste alcun contesto lecito, in tutti gli altri casi il contesto è essenziale per stabilire l'illiceità del contenuto. Quindi il sistema di filtraggio non è in grado di valutare se effettivamente il contenuto è illecito, in quanto l’utilizzo del contenuto potrebbe essere consentito in base a delle specifiche esenzioni, esenzioni che pur previste dalle norme, di fatto non sono applicabili all’ambiente online, mentre le esenzioni sul copyright sono riconosciute e applicate nell’ambiente offline.

Inoltre, la normativa stabilisce che un provider non è responsabile dei contenuti immessi dagli utenti se, nel momento in cui viene a conoscenza dell’illiceità dello stesso, provvede a rimuoverlo speditamente (art. 14 Direttive eCommerce). Tra l’altro è da notare che l’esenzione scatta solo se il provider poi rimuove, a differenza dell’analoga norma statunitense, cioè il 230 c) 2) del Communication Decency Act che protegge gli intermediari quando adottano misure volontarie per limitare l'accesso o la disponibilità di determinati contenuti ma anche quando mancano tali contenuti e non intraprendono alcuna azione (la cosiddetta protezione del Buon Samaritano). L’art. 15 della direttiva eCommerce vieta il monitoraggio generale delle comunicazioni. Con la sentenza "Scarlet extendend" la Corte di Giustizia europea ha precisato, al paragrafo 38, cosa si deve intendere per “general monitoring” ai sensi della direttiva sul commercio elettronico:
implementation of that filtering system would require– first, that the ISP identify, within all of the electronic communications of all its customers, the files relating to peer-to-peer traffic;– secondly, that it identify, within that traffic, the files containing works in respect of which holders of intellectual-property rights claim to hold rights;– thirdly, that it determine which of those files are being shared unlawfully; and– fourthly, that it block file sharing that it considers to be unlawful.
Le norme, quindi, sono state configurate in modo da dissuadere il provider dall’attuare un controllo sistematico dei suoi utenti. Nella sentenza "L’Oréal contro eBay" si chiarisce che le situazioni nelle quali la consapevolezza dell’illecito è conseguenza di un’indagine condotta di propria iniziativa dal provider, porta all’obbligo di agire prontamente per rimuovere il contenuto illecito. Il problema è che se vengono attuate misure proattive (software di filtraggio) le probabilità di trovare illeciti sale enormemente e quindi le responsabilità aumentano rispetto ad una situazione nella quale il provider si imbatte semplicemente in un illecito.

Introducendo la protezione del buon samaritano nel CDA, il Congresso USA ha effettivamente incoraggiato gli intermediari ad adottare misure proattive, laddove l’analoga norma europea, invece, tende a scoraggiarli. Perché non basta che il provider faccia del suo meglio per rimuovere i contenuti illeciti, la norma richiede che effettivamente i contenuti illeciti siano rimossi, altrimenti il provider ne risponde. In tal senso è ovvio che chi adotta misure proattive è incentivato a rimuovere tutto il possibile, in particolare i contenuti incerti, mentre le piccole aziende (per le quali i sistemi di filtraggio sono un costo eccessivo) sono incentivate a non usare tali sistemi.

Con la riforma della direttiva Copyright, invece, l’introduzione di tali sistemi di filtraggio è sostanzialmente (anche se non formalmente) obbligatoria per conformarsi (art. 17). Tra l’altro senza l’aggiunta di un efficace strumento per impugnare le “decisioni” del provider. La Commissione ritiene che anche i provider che rientrino nell’ambito dell’art. 14 della direttiva eCommerce devono utilizzare misure proattive, in caso contrario non possono fare affidamento sull’esenzione prevista.

Il nuovo sistema, in conclusione, appare studiato per massimizzare le rimozioni senza approfondire in alcun modo cosa realmente si rimuove, e quindi senza un reale bilanciamento dei diritti dei titolari coi i diritti fondamentali dei cittadini (es. libertà di espressione).

Delega alle aziende e diritti degli utenti

Un aspetto interessante riguarda la sostanziale delega alle aziende del web. Sono le aziende che, in fin dei conti, decideranno cosa e come rimuovere. E qui rientriamo nella problematica del “controllo pubblico”. La domanda da porsi è: quali garanzie hanno i cittadini sulle piattaforme online? Esistono le Costituzioni degli Stati membri, le Convenzioni europee, leggi che impongono ai governi di tutelare i diritti dei cittadini, in particolare la libertà di espressione. In che modo tali leggi limitano ciò che i governi possono fare per regolamentare le piattaforme online? Fino a che punto tali leggi consentono ai governi di chiedere alle piattaforme di regolamentare i contenuti online?

Tra piattaforma e cittadino (utente) il rapporto è sostanzialmente contrattuale, con la piattaforma in posizione dominante perché in qualsiasi momento può decidere di modificare, insindacabilmente, i suoi TOS (terms of service), così eventualmente azzerando le garanzie fornite originariamente al cittadino (un caso esemplificativo dell'incoerenza dei TOS e della gestione dei contenuti si è avuto nel 2019 su Youtube). Si tratta di un evidente squilibrio sul quale non si può sorvolare. Se la tendenza è quella di delegare alle piattaforme del web la gestione dei contenuti, e di conseguenza l’applicazione pratica dei diritti dei cittadini, dobbiamo prendere atto che nel web i diritti dei cittadini non sono realmente tutelati.

In tale prospettiva occorre tenere presente, ma è di evidenza solare, che le aziende private non sono particolarmente note per la capacità di proteggere i diritti delle persone, quanto piuttosto di massimizzare i loro profitti. Per cui è pacifico che la delega delle funzioni statali porterà a una riduzione esponenziale della tutela dei diritti degli utenti in Rete. Di fatto il sistema studiato (ad esempio dalla direttiva copyright) è strutturato per essere modellato dalle grandi aziende, siano esse piattaforme del web oppure aziende tradizionali (le prime sono obbligate giuridicamente ad accordarsi, supportare e tutelare le seconde).

In generale le aziende sono invogliate a stringere accordi (siano essi "volontari" oppure obbligati giuridicamente) per la regolamentazione di determinati aspetti del discorso online (es. contenuti pedopornografici), ma questi "cartelli dei contenuti" sono anche la risposta al crescente consenso che esistono aree che vanno oltre la concorrenza. È la stessa società civile che chiede risposte più adeguate alle aziende del web, di contro le aziende vedono sempre più la fornitura o meno di tali risposte come un problema "reputazionale". Se in alcuni casi le aziende concorrono tra loro (esempio: Facebook annuncia di non regolamentare gli annunci politici, Twitter e Microsoft rispondono differentemente) spesso è più conveniente la cooperazione (appunto, i cartelli di contenuti) per evitare strette legislative o semplicemente per ingessare il mercato.

Il problema è che questi "cartelli" (siano essi volontari che giuridicamente obbligati) tra aziende determinano maggiore opacità del sistema: se la decisione di un'azienda ha una precisa responsabilità, questa responsabilità si diluisce nel caso di "cartello". Inoltre, i cartelli appaiono più "neutrali" e quindi obiettivi (esempio: parlano di hashing quando in realtà si tratta di censura), i cartelli aumentano esponenzialmente il potere dei grandi attori, che finiscono per dettare la linea non solo agli attori più piccoli ma anche agli stessi governi, e così via.

Il punto è che se deve esistere uno standard per il discorso online (l'alternativa è lasciare fare al mercato), non possiamo lasciare tale decisione alle aziende dedite al profitto. Quello che occorre è una regolamentazione statale che imponga limiti specifici agli accordi contrattuali, così come avviene già in altri ambienti (esempio: bancario). Non stiamo parlando di mere esortazioni alle aziende private di tenere in considerazione i diritti dei cittadini nella moderazione dei contenuti, ma piuttosto di una vera tutela legale, specialmente dei diritti fondamentali (esempio: libertà di espressione). Deve essere lo Stato (l'Unione europea) a realizzare un quadro normativo, nel quale si dovrà stabilire cosa le piattaforme dovranno rimuovere, e anche cosa non potranno rimuovere (i contenuti legittimi), e soprattutto dovrà prevedere incentivi a non eccedere con la regolamentazione (es. non rimuovere i contenuti incerti). Questo è quello che si definisce un approccio orientato ai diritti umani. In assenza di un quadro regolamentare di questo tipo quello che si avrà sarà una regolamentazione orientata al profitto delle aziende.

Conclusioni

Le piattaforme online sono tra i principali driver della trasformazione digitale nel mercato unico. Tuttavia, il loro potenziale innovativo crea nuove sfide per i legislatori e la società in generale. La riforma del settore appare ormai necessaria ma le nuove norme dovrebbero da un lato garantire l’integrità e il funzionamento del mercato e dall’altro aumentarne il potenziale, alimentando l’innovazione e consentendo l’ingresso nel mercato di nuovi concorrenti (in tal senso chi ha più potere nel mercato dovrebbe avere maggiori oneri, come accade nel mercato dei carrier).

Purtroppo il lobbismo dei fornitori lineari, e delle aziende del web che hanno già conquistato una posizione dominante nel mercato, può facilmente dirottare le riforme, così finendo per proteggere i loro specifici interessi. Ad esempio, l’introduzione del diritto accessorio per gli editori (nella direttiva Copyright), a seguito del lobbismo dell’industria editoriale, rende più difficile a nuove aziende realizzare servizi innovativi per i media e fare concorrenza agli operatori maggiori, che hanno le risorse per condividere le entrate pubblicitarie con le case editrici. In un tale quadro lo spazio per i diritti dei cittadini appare sempre più ristretto.

Il principio del level playing field, se in teoria appare utile per il riequilibro del mercato, può facilmente portare a storture. Robert Kenny e Tim Suter, con il rapporto An unravelling of the Digital Single Market, A review of the proposed AVMSD del 2016, spiegano che il level playing field ha applicazioni limitate.
In genere ha senso se:
  • Le parti si trovano nello stesso mercato.
  • La regolamentazione è un peso per una parte ma non per l’altra.
  • La regolamentazione è un favore ad una parte ma non all’altra.
  • Oppure se i benefici della regolazione simmetrica superano quelli della regolazione asimmetrica.
Secondo gli autori il level playing field appare avere ben pochi utilizzi con riferimento all’ecosistema digitale, perché l’aspetto principale di tale ecosistema è proprio la “disruption” del precedente mercato lineare, introducendo innovazione in settori asfittici nel quale mancano investimenti seri da decenni, e che sono in crisi (pensiamo all’editoria). In tal senso si espresse nel 2013 anche l'Ofcom britannico (l'equivalente dell'Agcom) elogiando il nuovo modello di riferimento per i media, che si inserisce in un processo di "creative destruction" inevitabile per impedire l'immobilismo del mercato, per cui le aziende storiche hanno necessità di incamminarsi sulla strada dell'innovazione se vogliono sopravvivere. Solo un ambiente realmente innovativo può portare a nuovi modelli di business e creare nuovi mercati, concluse l'Ofcom.

Andrej Savin in Regulating Internet Platforms in the EU: The Emergence of the ‘Level playing Field’ afferma che l’attuale politica dell'Unione europea non è sufficientemente supportata da evidenze e studi e che il level playing field non appare altro che un modo per combattere la “disruption” introdotta dalle nuove tecnologie e favorire, in modo protezionistico, le vecchie industrie (es. editoria). Il livellamento frena i modelli di business innovativi, sradicando le possibilità di innovazione in un settore fino a poco fa controllato dagli incumbent.
The Commission focus is not on supporting innovation but on reversing disruption created by innovative business models
Del resto da quando si è insediata la nuova Commissione (alla fine del 2019) c'è stata una spinta, principalmente guidata da Francia e Germania, a essere più decisi nell’intervenire per conto delle imprese europee, specialmente nei settori strategicamente importanti come cloud computing, veicoli autonomi, pluralismo dei media, ecc.

Il timore è che le nuove regole possano portare ad ingessare un mercato a favore delle aziende che già hanno conquistato una posizione di rilievo, impedendo lo sviluppo e l'innovazione. Insomma, occuparsi delle aziende attuali senza pensare a quelle che potrebbero sorgere nel futuro. Occorre ben altro, quindi, a partire dall’introduzione di maggiore trasparenza che potrebbe tutelare meglio i diritti dei cittadini, laddove tale aspetto è fortemente minimizzato dalle riforme in atto. In tal senso notiamo che la nuova direttiva Copyright impone ai provider di fornire ai titolari dei diritti “informazioni adeguate sul funzionamento delle loro prassi per quanto riguarda la cooperazione di cui al paragrafo 4 e, qualora siano stati conclusi accordi di licenza tra i prestatori di servizi e i titolari dei diritti, informazioni sull’utilizzo dei contenuti oggetto degli accordi”. Cioè la trasparenza è verso le aziende, non verso i cittadini. Invece sarebbe fondamentale che le norme obbligassero le aziende a pubblicare i dati sulle rimozioni e sui motivi delle stesse (alcune delle piattaforme lo fanno già volontariamente), in modo che i cittadini possano sapere quante rimozioni sono effettivamente dovute e quante invece sono frutto di errori o peggio (es. vicenda Christian BuettnerUlrich KaiserJames Rhodesgatto che fa le fusavideo sull’insalataarticoli critici verso la direttiva copyright; caso Dancing Baby).

La moderna economia “digital driven” si basa prevalentemente sulla "disruption", realizzare leggi che si occupano di eliminare la "disruption" porterà solo ad annullare i benefici della nuova economia a favore dei vecchi monopolisti. Questo non significa che non occorrano delle leggi, ma per legiferare correttamente occorre prima di tutto una comprensione adeguata dell’ecosistema digitale. L’assenza di un quadro regolatorio, oppure un quadro regolatorio non adeguato, fa nascere e prosperare pure logiche di mercato, nelle quali i diritti dei cittadini finiscono per essere inghiottiti, a scapito dei profitti delle aziende.

A che punto siamo

Attualmente è in corso la consultazione pubblica sul Digital Service Act, aperta a tutti fino all'8 settembre. Entro la fine dell'anno (novembre) la Commissione dovrebbe presentare una proposta di legislazione che entro un paio di anni dovrebbe costituire la nuova legislazione in materia di piattaforme europee.

Bruno Saetta https://www.valigiablu.it/

fonte: VOCI DALLA STRADA

mercoledì 3 giugno 2020

il Governo della Paura e l'Apocalisse che abbiamo di fronte

Prima il Covid, poi l’App per tracciare tutti. Poi il vaccino, atteso come il Messia, anche se insigni scienziati sostengono che è impossibile “inseguire” un virus Rna, velocemente mutante. E dopo il vaccino si pensa al microchip sottopelle, rilevato e monitorato metro per metro dalle antenne del wireless di quinta generazione installate in modo silenzioso, abbattendo gli alberi nei centri abitati perché le fronde (piene d’acqua, come il corpo umano) ne assorbono le frequenze. Sei mesi fa, si sarebbe potuto derubricare tutto questo alla voce complottismo, per la serie: alieni e scie chimiche. A proposito di presunti alieni: lo scorso ottobre, la Us Navy ha ammesso che i suoi caccia scorrazzano spesso in compagnia degli Ufo (ribattezzati Uap, Unidentified Aerial Phenomena). Quanto alle scie bianche che negli ultimi 15 anni rigavano il cielo fino a diventare nubi, erano letteralmente sparite durante il lockdown universale. Il cospirazionismo le considera parte di un piano genocida per la riduzione della popolazione mondiale, mentre una parte della scienza le ascrive alla neo-disciplina della cosiddetta geoingegneria, tra qualche sporadica ammissione. Tecnici Nasa parlarono di litio diffuso in atmosfera sotto forma di aerosol; un dirigente del Cnr accennò all’esistenza di un imprecisato esperimento planetario di controllo climatico; e paesi come la Cina ammettono di disporre di intere flotte aeree incaricate di “ingravidare” le nuvole con ioduro d’argento per aumentare le precipitazioni.
A prescindere dall’impossibilità di verificare molte di queste informazioni, in un mondo in cui il mainstream pratica il silenzio sistematico rispetto a qualunque notizia potenzialmente fastidiosa per l’establishment, resta il fatto che nel paese di Conte, Frecce TricoloriGrillo e Zingaretti è diventato tabù qualsiasi argomento di ordine pratico, a partire dall’economia che il Governo della Paura ha paralizzato, esponendo il paese alla crisi più grave della sua storia repubblicana. Proprio ora, che ci sarebbe bisogno di allargare l’orizzonte, ci si affanna a tenere gli occhi rasoterra: lo zoo politico e mediatico locale perde ancora tempo con Conte e Salvini, le mascherine, le fumose promesse europee, le liti da pollaio pro o contro la Regione Lombardia, senza che nessuno spieghi perché il maledetto Covid ha colpito così duramente il solo Nord-Est. Nessuno, per la verità, spiega mai niente: nemmeno il motivo per cui – nonostante esista un governo pienamente in carica – si sia sentita la necessità di affidare a terzi la cosiddetta “ripartenza”. Qualcuno (chi?) ha imposto a Conte il finanziere Colao, che ora ha presentato il suo piano: svendere tutto quel che resta dell’hardware statale italiano, da Leonardo-Fincantieri a Fs, fino alla riserva aurea. Non suona antico, tutto questo? Sembra una riedizione dei tragici anni ‘90, quando si svendevano i gioielli di famiglia, i magistrati antimafia saltavano per aria, i vecchi politici finivano alla gogna e quelli nuovi sacrificavano il paese sull’altare di Maastricht, funerea premessa di un trentennio di vacche magre e rigore metafisico, presentato come inevitabile castigo di Dio.
Nessuno spiega niente, ecco il punto: nessuno spiega perché Zingaretti ha imposto ai laziali il discutibile vaccino antinfluenzale (spaventando i medici), o perché ha vietato nel Lazio la sperimentazione anti-Covid condotta con successo a Mantova. Un caso mondiale, quello di Giuseppe De Donno: perché il ministro della sanità non si è precipitato a Mantova, Pavia e Padova, ospedali dove di Covid non muore più nessuno? E se esiste davvero una cura per declassificare il morbo, semplice malattia ormai curabile come tante altre, perché insistere nell’imporre il micidiale Distanziamento? Perché recitare a reti unificate il mantra del vaccino salvifico, se dal Covid ci si salva con una semplice trasfusione di plasma? Perché i media non discutono di questo, anziché dei ridicoli sondaggi che ripropongono l’altalena del consenso virtuale conteso da partiti identici o simili, nessuno dei quali in questi mesi ha suggerito una terapia radicalmente alternativa per curare il paese? Perché ridursi a tifare Conte o Salvini, anziché pretendere risposte, come se Conte e Salvini avessero la consistenza risolutiva, la Bill gatesstatura e l’autonomia dello statista? Perché ridursi a intonare Bella Ciao, da prigionieri, nel giorno della Liberazione, sprecando l’eredità della Resistenza, anziché incalzare i sordomuti spingendoli a concedere finalmente qualche risposta?
L’Apocalisse in corso, la cui durezza non è ancora visibile per intero (ma non tarderà a manifestarsi, nei prossimi mesi), sembra la premessa per un drammatico risveglio. Un giorno ci si domanderà com’è stato possibile rallentare il mondo (e paralizzare l’Italia) per un virus che secondo l’Istituto Superiore di Sanità ha ucciso meno del 4% delle vittime frettolosamente archiviate come “caduti del Covid”, inceneriti senza neppure un’autopsia in ossequio alle sconcertanti direttive ministeriali. La fragilità del sistema globale è emersa in modo scioccante: in poche settimane, un virus (di oscura provenienza, tuttora) ha potuto mettere in crisi il pianeta. Dunque la nostra economia è così vulnerabile da non potersi permettere dieci settimane di pausa. Mezza Italia trema, pensando al domani; l’altra metà si illude di passarla liscia, di fronte al collasso del commercio, del turismo, della piccola impresa. Siamo un paese che ha accettato di subire, di punto in bianco, l’imposizione di 10 vaccini obbligatori non motivati da alcuna emergenza sanitaria. Poco dopo, la maggioranza della popolazione si è rassegnata al Governo della Paura, che le ha ordinato di chiudersi in casa. Rumori lontani annunciano battaglie già in corso, ma come al solito le spiegazioni languono. Gli addetti ai lavori fingono di trovare normale il fatto che a dettar legge sia un ex magnate dei computer, convertitosi all’industria lucrosissima dei vaccini fino a trasformarsi in “ministro mondiale della sanità”, dopo essersi comprato l’Oms in società con Pechino. Di normale non c’è più niente, in un mondo in cui milioni di persone si adattano a scambiare per normalità una mostruosa follia quotidiana, gravida di minaccia, senza neppure domandarsi cosa potrebbe accadere domani, se da qualche altro sperduto laboratorio scappasse l’ennesimo virus, l’ennesima arma a disposizione del Governo della Paura.

(Giorgio Cattaneo, “Il Governo della Paura e l’Apocalisse che abbiamo di fronte”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 giugno 2020).

fonte: LIBRE IDEE

coronavirus, Italia: anche i medici impegnati in prima linea denunciano il colpo di Stato


Quando tutti prenderemo coscienza di ciò che questo governo ha fatto con l'appoggio di tutte le istituzioni, non ci resterà che processarli per l'alto tradimento. Hanno venduto malattia e morte per mesi con la messa delle 18 facendo modo che le masse andassero in dissonanza cognitiva mentre loro uccidevano il nostro paese economicamente, stupravano la nostra costituzione, calpestavano i diritti umani e creando danni psicologici incalcolabili.
Traditori della patria.


Comunicato AMPAS del 21/4

Con serenità, ma anche con determinazione, i medici del gruppo della medicina di segnale (735 iscritti all’AMPAS, la nostra associazione, di cui tanti impegnati in prima linea), preoccupati per le possibili derive autoritarie in atto, desiderano fare chiarezza circa la possibilità che siano lesi dei diritti costituzionalmente garantiti per i cittadini.

1. Lesione libertà costituzionalmente garantite
In questo periodo sono stati gravemente lesi alcuni diritti costituzionali (la libertà di movimento, il diritto allo studio, la possibilità di lavorare, la possibilità di accedere alle cure per tutti i malati non-Coronavirus) e si profila all’orizzonte una grave lesione al nostro diritto alla scelta di cura. Tutto questo in assenza di una vera discussione parlamentare, e a colpi di decreti d’urgenza. Ci siamo svegliati in un incubo senza più poter uscire di casa se non firmando autocertificazioni sulla cui costituzionalità diversi giuristi hanno espresso perplessità, inseguiti da elicotteri, droni e mezzi delle forze dell’ordine con uno spiegamento di forze mai visto neppure nei momenti eversivi più gravi della storia del nostro paese.


Ora sta entrando in vigore un’app per il tracciamento degli spostamenti degli individui, in patente violazione del nostro diritto alla privacy, e che già qualcuno pensa di utilizzare per scopi extrasanitari.
Ma tra le lesioni più gravi ai nostri diritti costituzionali spicca quella legata al diritto di scelta di cura, ben definito sia nella costituzione che nel documento europeo di Oviedo. Noi medici siamo colpevoli di non aver adeguatamente contrastato, due anni fa, una legge che toglieva al pediatra di fatto ogni dignità e autonomia decisionale.
Ricordiamoci che una lesione di diritti non giustificata è sempre la premessa ad altre possibili lesioni.

2. Conflitti di interesse

Gli attori “scientifici” della redazione e della promozione della citata legge Lorenzin non sembrano essere molto diversi dai “consulenti” dell’emergenza di oggi.
Ci chiediamo se le informazioni provenienti dalle figure che operano come consulenti del Ministero della Salute siano diffuse con la comunicazione dei conflitti di interesse che essi possano avere con aziende del settore. Non sarebbe etico né lecito avere consiglieri che collaborano con grandi aziende farmaceutiche.
Sempre in tema di conflitto di interessi: è stato il Parlamento a stabilire i componenti della Task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase 2? Sono presenti possibili conflitti di interesse? Tali soggetti pare abbiano chiesto l’immunità dalle conseguenze delle loro azioni. Ma non dovrebbero essere figure istituzionali a prendere “decisioni” sul futuro del nostro paese? Una cosa è la consulenza, altro è decidere “in nome e per conto”. Con quale autorità?

3. Libertà di espressione e contraddittorio

Il giornalismo dovrebbe essere confronto di idee, discussione, valutazione di punti di vista diversi. Ci chiediamo quanto sia garantita la libertà di espressione anche di professionisti che non la pensano come noi. Vediamo invece giornalisti che festeggiano la “cattura” di un povero runner sulla spiaggia da parte di un massiccio spiegamento di forze, e la sistematica cancellazione di ogni accenno a diversi sistemi di cura rispetto alla “narrazione ufficiale” del salvifico vaccino, si tratti di vitamina C o di eparina, in totale assenza di contraddittorio.
In questo quadro intossicato, le reti e i giornali maggiori mandano in onda continuamente uno spot, offensivo per l’intelligenza comune, in cui si ribadisce a chiare lettere che la loro è l’unica informazione seria e affidabile: il resto solo fake. Viene così creata l’atmosfera grazie alla quale si interviene su qualunque filmato, profilo social, sito internet che non si reputi in linea con la narrazione ufficiale. Nessuna dittatura può sopravvivere se non ha il supporto di una informazione asservita.

4. Vaccino: soluzione a tutti i mali?

Tutti aspettano come una liberazione il nuovo vaccino (che giornalisti e virologi a senso unico continuano a vantare come l’unica possibile soluzione), dimenticando alcuni fatti. Il primo è che il vaccino viene sviluppato sulla base delle proiezioni teoriche sui virus in circolo l’anno precedente, e dunque è una “scommessa” (è esperienza comune ad ogni inverno che molte persone vaccinate si ammalino comunque). Il secondo è la continua forte variabilità di un virus a RNA come il Coronavirus, di cui pare esistano già diverse varianti. Ciononostante, in dispregio anche del rischio di interferenza virale (per cui il vaccino per un virus diverso può esacerbare la risposta ad un altro virus) la regione Lazio propone l’obbligatorietà per tutti i sanitari e tutti gli over65 di effettuare vaccinazione antinfluenzale ordinaria, violando ancora una volta (se l’obbligo fosse reale) il diritto costituzionale alla scelta di cura. E i difensori della costituzione, muti. Facile immaginare cosa succederà non appena sarà reso disponibile, con iter accelerati e prove di sicurezza minimali, il nuovo vaccino salvavita. Da medici vogliamo ribadire l’importanza del rispetto della libertà di scelta di cura così come costituzionalmente definita.

5. Bambini e movimento fisico

Una nota è necessaria per capire la gravità della situazione anche per quanto concerne movimento fisico e chiusura in casa dei nostri bambini. La stessa OMS si è pronunciata nel merito raccomandando l’uscita all’aria aperta e il movimento fisico come indispensabili presidi di salute e di sostegno immunitario. Quasi tutti gli altri paesi europei hanno consentito l’uscita in solitaria per fare sport e la passeggiata con i bambini. Noi no. Con una regola di incredibile durezza, venata di un inaccettabile paternalismo (“se li lasciamo liberi poi non sono capaci di stare distanti”) abbiamo creato disagi psicologici e fisici (obesità e sedentarietà) e costretto a salti mortali i pochi obbligati al lavoro (sanitari, agricoltori, trasportatori, negozi alimentari).


Non possiamo inoltre non rimarcare la totale disattenzione di questi draconiani provvedimenti nei confronti delle famiglie con figli disabili (e in particolare autistici) per i quali il momento quotidiano di uscita all’aria aperta rappresenta un indispensabile supporto alla propria difficile condizione. I più fragili, come sempre, pagano il pedaggio più duro.
Tutto ciò non bastasse è stata scatenata la guerra del sospetto e della delazione tra gli invidiosi delle libertà altrui.
Come lucidamente scrive Noam Chomsky, mettere i propri sudditi uno contro l’altro è uno splendido sistema per qualunque dittatura per distrarre il popolo da quello che veramente il potere sta perpetrando a suo danno.
L’intervento di squadre di polizia con quad ed elicotteri ad inseguire vecchietti isolati sui sentieri non fa che rafforzare l’idea di poter essere tutti sceriffi, a dimostrazione della perfetta riuscita di induzione della psicosi da parte del potere.

6. Danni economici del lockdown: un disastro epocale

Alcuni comparti, come quello del turismo, della ristorazione o automobilistico hanno avuto riduzioni di fatturato vicine al 100%. Questo significherà, come dicono le prime stime, una decina di milioni di disoccupati. Che smetteranno di pagare i mutui in corso. Smetteranno di acquistare beni di consumo. Perderanno le loro attività o le loro aziende costruite in decenni di sacrifici. Noi medici sappiamo cosa significhi questo a livello sanitario: migliaia e migliaia di nuovi decessi. Persone che si ammaleranno, si suicideranno (le prime avvisaglie sono già visibili), ritireranno i propri risparmi in banca. Serve ripartire subito, tutti, senza tentennamenti. Per ridurre i danni, che comunque, anche si ripartisse oggi, saranno epocali. Se domani si dovesse scoprire che qualcuno ha surrettiziamente prolungato il lockdown italiano (ad oggi il più duro d’Europa) per mantenere alto il panico e trovare un ambiente più pronto all’obbligo vaccinale, ci auguriamo solo che la giustizia possa fare il suo corso con la massima durezza. La gente perde il lavoro e muore di fame, e lorsignori pontificano.

7. Le cure

Anche qui l’argomento è imbarazzante. È comprensibile che un virus nuovo possa spiazzare anche i migliori medici per qualche tempo. Ma via via che le informazioni si accumulano occorrerebbe ascoltare coloro che sul campo hanno potuto meglio capire. Un gruppo Facebook di cui molti di noi fanno parte, nato spontaneamente come autoaiuto, e che conta circa 100.000 iscritti, ha elaborato delle raccomandazioni di cura efficaci poi inviate al ministero.
Oggi che pare chiaro e assodato che il decesso avvenga a causa di una forte coagulazione intravascolare molte vite possono essere salvate con l’uso della semplice eparina. Ma non basta: servono anche attenzioni specifiche a seconda del timing della malattia: ai primi sintomi, ai primi aggravamenti, o in fase procoagulativa. In particolare a noi medici di segnale risulta difficile comprendere l’uso massivo di paracetamolo o di altri antipiretici una volta acclarato che la febbre è un potente antivirale per l’organismo. È in preparazione un documento interassociativo anche su questo delicato argomento che merita più ampia trattazione.


Ove qualcuno, tuttavia, si permetta di ritardare l’adozione di sistemi di cura efficaci, per motivi meno che chiari (e alcuni interventi televisivi volti a screditare l’eparina sembrano andare in quella direzione) si aspetti reazioni forti da chi ha rischiato la propria vita in prima linea.
La magistratura sta ora indagando sui gravi errori commessi in alcune regioni nella gestione delle residenze per anziani, veri e propri focolai d’infezione con purtroppo un numero elevatissimo di decessi, stante la fragilità e la polimorbilità degli ospiti, quasi sempre in trattamento con statine, antipertensivi, analgesici, antidiabetici. Al di là delle responsabilità regionali, che la magistratura valuterà, preme fare dei numeri: dei 22000 decessi totali nazionali ben 7000 (il 30%!) sono di degenti in RSA. Un dato sconvolgente, ma che deve farci riflettere sull’incremento importante dei decessi in alcune province.
Gli errori fatti, in buona o cattiva fede, sono costati la vita a più di 100 medici e ad un alto numero di altri operatori sanitari che sono stati mandati allo sbaraglio senza un piano preciso e senza i necessari dispositivi di protezione. A loro va la nostra più profonda gratitudine.

8. Test sierologici ritardati o non autorizzati

Uno dei modi per capire quante persone hanno già incontrato il virus (smettiamo di chiamarli “contagiati”, perché talvolta hanno avuto solo lievi sintomi influenzali e prodotto splendidi anticorpi) è quello di effettuare un test sierologico, che è di costo contenuto e che evidenzia malattia in corso (IgM+) o malattia superata e presenza di anticorpi memoria (IgG+). Chi sia IgG+ potrebbe già serenamente ricominciare a muoversi senza particolari cautele né per sé né per gli altri. Sensibilità e specificità di questi test sono altissime a differenza di quelle dei tamponi. Perché tanta ostilità da parte di governo e istituzioni sanitarie tanto da vietarne l’uso “fino ad approvazione di un test affidabile”? I casi di Ortisei (45% di positivi) e di Vò Euganeo (75%) ci dicono che probabilmente il virus si è già diffuso molto più di quanto pensiamo e che le misure in essere potrebbero non essere poi così necessarie, almeno in alcune zone d’Italia.

9. Qualche numero

Vi prego risparmiateci il teatrino delle 18. Quei numeri non sono affidabili e fanno parte di una consumata regia. A fianco di Borrelli sfilano talvolta alcune figure i cui potenziali conflitti d’interesse non vengono mai dichiarati.
Il numero dei “contagiati” è privo di senso, visto che dipende dal numero di tamponi effettuato. E la stragrande maggioranza della popolazione potrebbe già avere incontrato il virus senza saperlo. Stime della Oxford University parlano di 11 milioni di potenziali positivi già ora. Se questo dato fosse vero la letalità di Sars-Cov2 sarebbe veramente irrisoria: lo 0,05%, anche prendendo per veri i dati di mortalità. Ma anche su questi permane il terribile dubbio sui decessi PER e CON Coronavirus. Diverse testimonianze mettono in forte dubbio il dato, visto che ogni giorno in Italia ci lasciano circa 1900 persone (dati ISTAT) e non si fa fatica ad estrarne 400, tra questi, che siano anche positivi al virus. Tuttavia è dato chiaro a chi lavori in prima linea che la grave coagulazione intravascolare indotta dall’incontro tra il virus e un terreno per lui fertile (età media decessi 78 anni, media 3,3 patologie presenti) possa portare rapidamente alla morte individui fragili che tuttavia avrebbero volentieri vissuto qualche anno ancora. In Inghilterra hanno rilevato che che il 73% dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva per CoronaVirus è sovrappeso o obeso. Come dice il dr. Lustig: “Il virus non distingue chi infetta ma distingue benissimo chi uccide”.
Questi pazienti fragili comunque avrebbero preferito morire tra le braccia dei loro cari piuttosto che da soli in questo modo terribile.
In altri paesi hanno usato modalità di calcolo diverse. Non potremmo chiedere dati più precisi e affidabili evitando di diffondere panico e preoccupazione?

10. Altri Paesi europei e non: lockdown molto diversi

Altri paesi sia in Europa che nel mondo stanno adottando lockdown parziali molto meno rigidi di quello italiano, tanto che il lockdown completo viene ormai tristemente chiamato “all’italiana”. Eppure abbiamo il problema da prima di tutti gli altri e ci stanno facendo credere che lo chiuderemo buoni ultimi. Per colpa dei runner e dei bimbi a passeggio, ovviamente. Peccato che in molti paesi europei la passeggiata di adulti e bambini, la gita al mare, l’accesso alle seconde case sia quasi ovunque consentito, a patto di mantenere il distanziamento sociale. Ma non eravamo nell’Europa unita? Perché questa crudeltà nella sola Italia? Siamo ancora il paese cavia? Richiediamo con forza di allinearci al più presto alle direttive in essere nella maggior parte dei paesi europei.

11. Sostegno al sistema immunitario: i sani proteggono

Un punto chiave, che è sfuggito totalmente ai nostri governanti e ai nostri media è che i sani (quell’85% delle persone che ha incontrato il virus e nemmeno se ne é accorto, o ha subito lievi sintomi, costruendo presto gli anticorpi necessari) conducono uno stile di vita più sano che ne ha irrobustito e forgiato il sistema immunitario. Mangiare sano, fare sport quotidiano, condurre una vita meno stressante (magari abitando fuori città), assumere vitamine e integratori naturali, fare a meno di farmaci inutili, rinunciare a fumare, a drogarsi o a bere senza controllo, rappresenta un impegno che si vorrebbe vedere in qualche modo valorizzato come comportamento virtuoso quantomeno in relazione al risparmio che consente al sistema sanitario nazionale e, in questo caso, alla protezione dalla diffusione del virus e alla non occupazione di un posto letto, lasciato così libero per un altro.
Invece se accendiamo la TV vediamo solo pubblicità di farmaci e di dolciumi. E tra i pochissimi negozi aperti, in pieno lockdown, lo stato ha pensato bene di lasciare le tabaccherie. Fuma, riempiti di dolci, stai sedentario e ingozzati di farmaci: questo il messaggio che lo stato ci ha dato in questo periodo. Tanto, presto, arriverà il vaccino.

12. Le richieste

Consapevoli del fatto che il futuro sarà nuovo e diverso solo se capiremo che la nostra biologia non ci consente di vivere in città superaffollate, inquinate, fumando, drogandoci e mangiando solo cibi industriali e raffinati in completa sedentarietà, vogliamo sperare che il “dopo emergenza” possa essere migliore del “prima”. Ma questo potrà avvenire solo se avverranno molte delle cose che siamo qui a richiedere, alcune immediate, altre a breve.
Richiediamo dunque con forza, a nome dell’associazione AMPAS e dei 735 medici che ne fanno oggi parte (nonché dei numerosi simpatizzanti non medici):

L’immediato ripristino della legalità istituzionale e costituzionale, richiamando il parlamento alle sue funzioni democratiche e al dibattito che necessariamente deve scaturirne.


L’immediata cancellazione di task force e di consulenti esterni i cui conflitti di interesse potrebbero essere letti, nel momento in cui si affidino loro responsabilità non previste istituzionalmente, come un aggiramento delle regole democratiche.


L’immediato ripristino del diritto al lavoro per milioni di italiani, che se non possono avere il proprio stipendio saranno presto alla fame con conseguenze prevedibili di ordine pubblico (nel rispetto delle nuove regole di distanziamento fino a che sarà necessario)


L’immediato ripristino del diritto allo studio per milioni di bambini, ragazzi, studenti universitari che sono stati da un giorno all’altro privati di uno dei loro diritti fondamentali (nel rispetto delle nuove regole, fino a che sarà necessario)


La protezione del diritto alla scelta di cura, già violato da precedenti leggi, per impedire l’obbligatorietà di ogni possibile nuovo trattamento sanitario. Ogni nuovo provvedimento emesso in emergenza dovrà obbligatoriamente prevedere una data di fine del provvedimento, al fine di non “tentare” alcuni a rendere le restrizioni alle libertà una regola.


Il blocco di qualunque “app” o altro dispositivo informatico volto al controllo dei movimenti delle persone in palese violazione della nostra privacy.

L’immediata riapertura della possibilità per adulti e bambini di uscire all’aperto a praticare sport, passeggio, vita sociale, seppur nel rispetto delle regole necessarie.

Il ripristino immediato di una par condicio televisiva o mediatica, con ospitalità nelle trasmissioni di esponenti, ovviamente qualificati, di diversi punti di vista, con allontanamento immediato (o retrocessione a mansioni diverse) di conduttori che non abbiano saputo tener fede al loro dovere di giornalisti.


Dichiarazione dei propri conflitti di interesse da parte di qualunque professionista sanitario che esprima un parere televisivo o partecipi a un dibattito. L’omissione deve essere punita con un allontanamento mediatico proporzionato. Lo spettatore deve sapere se chi sta parlando riceve milioni di euro da un’azienda, o meno.


Il divieto di chiudere o cancellare siti o profili social in assenza di gravi violazioni di legge. Eventuali cancellazioni dovranno comunque essere tempestivamente notificate e giustificate. La rimozione di idee ed opinioni solo perché diverse dal mainstream ufficiale non è degna di un paese civile.


Il divieto per le forze dell’ordine di interpretare a propria discrezione le regole di ordine pubblico fissate dai decreti. Qualunque abuso, anche minimo, dovrà essere perseguito.


Il divieto di radiazione di medici per la sola espressione di idee diverse da quelle della medicina ordinaria. Da sempre il dialogo e il confronto tra idee diverse ha arricchito la scienza, che cambia e si evolve. Non sopravvalutiamo le nostre attuali misere conoscenze.


L’attivazione tempestiva di nuovi protocolli di cura in tutti gli ospedali Covid19 che, oltre a garantire la salute del personale sanitario, prevedano l’utilizzo di vitamine, minerali, ozonoterapia e tutte le cure naturali e di basso costo efficaci e documentate, accompagnando via via con farmaci più a rischio di effetti collaterali solo in caso di aggravamento, e attivando solo per la fase di crisi o pre-crisi l’utilizzo dei farmaci immunosoppressori e dell’eparina.


La disponibilità immediata e per tutta la popolazione di test sierologici IgM e IgG che possano consentire da subito sia di monitorare lo stato di diffusione del virus nelle diverse aree, sia dare la possibilità a chi sia IgG+ di riprendere la propria vita senza alcuna limitazione.


In una ipotesi di graduale diffusione dell’immunità virale, particolare attenzione dovrà essere riservata alla popolazione fragile: anziani, obesi, ipertesi, diabetici, infartuati (le categorie più colpite). Nel rispetto del diritto di scelta di cura nessun obbligo potrà essere dato se non temporaneamente, ma solo forti raccomandazioni e informazioni dettagliate sui rischi di infezione. Un individuo fragile deve poter scegliere se rischiare di morire abbracciando il suo nipotino, o restare vivo recluso in casa senza vedere nessuno.


Una forte campagna informativa sui rischi legati ad un cattivo stile di vita e su come tale stile aumenti il rischio di essere infettati. O vogliamo essere costretti a tenere le mascherine tutta la vita e a non poterci più abbracciare per consentire a qualcuno di fumare e di gonfiarsi di farmaci e di merendine zuccherate, disdegnando qualsiasi tipo di movimento fisico? Ciascuno resterà libero di farsi del male ma almeno lo stato non potrà dirsi complice.

Il divieto, almeno in questo periodo, di pubblicizzare sulle reti televisive e sui giornali farmaci e prodotti dolciari ingrassanti, al pari di come già in atto con il fumo.

Un aiuto immediato alle tante famiglie in crisi che a causa di questo lockdown totale hanno smesso di lavorare e di produrre reddito, con modalità molto semplici (ad esempio ticket a valore per acquisti di derrate alimentari). L’aiuto migliore per le aziende, invece dell’elemosina, sarà una tempestiva riapertura.


Medici migliori, in un paese migliore

AMPAS

Tratto da: https://www.medicinadisegnale.it/?p=1052

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http://www.trevisotoday.it/cronaca/coronavirus-cura-plaquenil-medico-santa-lucia-piave.html
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https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-quando-una-sola-persona.html


fonte: I COMPLOTTISTI