TESTIMONIANZA
Davide: "Da uomo confermo: abortire in Italia è una tortura"
Sua moglie, incinta, ha avuto un incidente. Dopo il quale ha scoperto che il feto aveva gravi problemi genetici. Lui è stato al fianco della compagna tutto il tempo. E ha capito cosa significa chiedere un'interruzione volontaria di gravidanza in Italia: aspettare un medico di buona volontà "in una stanzetta che sembrava il retro bottega di un veterinario"
Vorrei testimoniare quanto possono soffrire anche gli uomini, in una città "europea" come Milano.
Qualche anno fa mia moglie è stata vittima di un incidente quando era incinta di neanche un mese, a nostra insaputa.
Dopo vaccini e radiografie (fatte, tra l'altro, senza adeguata copertura) scopriamo che nel feto sono stati riscontrati problemi cromosomici seri.
Avendo avuto fin da piccolo una madre gravemente malata so cosa significa, e conoscendo il grado di assistenza e d'aiuto che l'Italia riserva ai portatori di handicap, oltre la naturale "bastardaggine" che contraddistingue il genere umano - molto più grave di quella che certa gente imputa alle donne che abortiscono - abbiamo deciso di interrompere la gravidanza.
In un ospedale pubblico del centro di Milano siamo riusciti a stare nei tempi esclusivamente grazie al gentile aiuto di alcune conoscenze e di un medico umano, che ha visitato mia moglie in una stanzetta che sembrava il retro bottega di un veterinario. Senza queste persone, che si sono esposte contro i "comodi" obiettori, non saremmo mai riusciti ad arrivare in tempo, fra diagnosi, "volontaria" burocrazia anti-aborto e pause di legge.
La mattina dell'intervento ho visto circa dieci donne andare al patibolo, distrutte, tremanti, scosse e lacrimanti. Altro che aborto come contraccettivo: c'era chi aveva problemi ereditari o la ragazzina quattordicenne al primo rapporto con il fidanzato. Non ho visto nessuno, ripeto, nessuno, sottovalutare la decisione.
Ho visto però mariti e padri piangere non sapendo come aiutare e sostenere le proprie mogli/figlie. Ho toccato con mano una burocrazia che lascia a delle donne che sanno di dover abortire un feto in grembo per troppo tempo, nella speranza di non so cosa, ma sicuramente con il risultato di infierire, colpevolizzarle e criminalizzarle.
Ritengo che in un paese moderno e civile la religione e la professione medica debbano rimanere due cose distinte. Ci potranno anche essere dei casi di obiettori, ma queste persone non possono essere chirurghi, o almeno, quel tipo di interventi devono essere numericamente coperti in fase di assunzione da medici non obiettori. Chi non se la sente di sparare non può fare il poliziotto o il soldato, non ci si può appellare alla propria fede, dopo, ma ci si può rifiutare, farsi trasferire, licenziare o andare in un ospedale privato che non prevede aborti.
È ora che la politica, la stessa che compra protesi difettose, che "nomina" primari incapaci, che va a messa con tre ex mogli e chiede voti a mafie varie, cresca, sia contemporanea e diventi meno ipocrita, più vicina ai cittadini e alle persone. Al contrario non vedo la nostra differenza con popoli e totalitarismi retrogradi invasati da religioni integraliste che condizionano la vita.
Qualche anno fa mia moglie è stata vittima di un incidente quando era incinta di neanche un mese, a nostra insaputa.
Dopo vaccini e radiografie (fatte, tra l'altro, senza adeguata copertura) scopriamo che nel feto sono stati riscontrati problemi cromosomici seri.
Avendo avuto fin da piccolo una madre gravemente malata so cosa significa, e conoscendo il grado di assistenza e d'aiuto che l'Italia riserva ai portatori di handicap, oltre la naturale "bastardaggine" che contraddistingue il genere umano - molto più grave di quella che certa gente imputa alle donne che abortiscono - abbiamo deciso di interrompere la gravidanza.
In un ospedale pubblico del centro di Milano siamo riusciti a stare nei tempi esclusivamente grazie al gentile aiuto di alcune conoscenze e di un medico umano, che ha visitato mia moglie in una stanzetta che sembrava il retro bottega di un veterinario. Senza queste persone, che si sono esposte contro i "comodi" obiettori, non saremmo mai riusciti ad arrivare in tempo, fra diagnosi, "volontaria" burocrazia anti-aborto e pause di legge.
La mattina dell'intervento ho visto circa dieci donne andare al patibolo, distrutte, tremanti, scosse e lacrimanti. Altro che aborto come contraccettivo: c'era chi aveva problemi ereditari o la ragazzina quattordicenne al primo rapporto con il fidanzato. Non ho visto nessuno, ripeto, nessuno, sottovalutare la decisione.
Ho visto però mariti e padri piangere non sapendo come aiutare e sostenere le proprie mogli/figlie. Ho toccato con mano una burocrazia che lascia a delle donne che sanno di dover abortire un feto in grembo per troppo tempo, nella speranza di non so cosa, ma sicuramente con il risultato di infierire, colpevolizzarle e criminalizzarle.
Ritengo che in un paese moderno e civile la religione e la professione medica debbano rimanere due cose distinte. Ci potranno anche essere dei casi di obiettori, ma queste persone non possono essere chirurghi, o almeno, quel tipo di interventi devono essere numericamente coperti in fase di assunzione da medici non obiettori. Chi non se la sente di sparare non può fare il poliziotto o il soldato, non ci si può appellare alla propria fede, dopo, ma ci si può rifiutare, farsi trasferire, licenziare o andare in un ospedale privato che non prevede aborti.
È ora che la politica, la stessa che compra protesi difettose, che "nomina" primari incapaci, che va a messa con tre ex mogli e chiede voti a mafie varie, cresca, sia contemporanea e diventi meno ipocrita, più vicina ai cittadini e alle persone. Al contrario non vedo la nostra differenza con popoli e totalitarismi retrogradi invasati da religioni integraliste che condizionano la vita.
fonte: espresso.repubblca.it
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