I tarocchi sono un mazzo di carte da gioco la cui origine risale alla metà del XV secolo nell'Italia Settentrionale. All'interno del mazzo una figura attira la mia curiosità: l'appeso o impiccato. Questa raffigurazione è la dodicesima carta degli arcani maggiori, che rappresentano le carte più dense di significato. All'interno dei mazzi più antichi l'appeso è talvolta, non sempre, indicato come il traditore: nella mano dell'uomo raffigurato appaiono due sacchetti di monete a rappresentare il prezzo del tradimento perpetrato. Nelle rappresentazioni moderne è raffigurato come un uomo capovolto appeso per una caviglia al ramo di un albero o allo stipite superiore della cornice, con una gamba piegata dietro l'altra ed i polsi legati dietro la schiena. La posizione dell'appeso è associata ad un antico supplizio pubblico, motivo del mio interesse per questa particolare carta da gioco.
L'appeso sperimenta la dolorosa tortura riservata, in passato, ai debitori e come ebbe a dire il poeta inglese Spencer: egli per i piedi appeso ad un albero, è così deriso da tutti i passanti, in modo che potessero vedere la sua posizione.
L'appeso non rappresentò esclusivamente una tortura fisica poiché, grazie alle raffigurazioni dipinte sui muri delle città, divenne un forte deterrente per tutti coloro che si macchiavano di determinati reati.
Un concetto che deve essere introdotto, per meglio comprendere l'accostamento dell'appeso ad eventuali supplizi fisici o psicologici, è quello della pittura d'infamia, che possiamo considerare come la versione antica dei manifesti raffiguranti i latitanti. La persona che fuggiva dalla città, dopo essersi macchiato di un delitto, era condannato alla vergogna di essere ritratto sulle pareti dei principali palazzi pubblici. In questo strano mondo furono coinvolti anche grandi artisti dell'epoca rinascimentale poiché le autorità gradivano dei ritratti ben fatti, dove il condannato era ben riconoscibile. Nel caso in cui la figura non fosse particolarmente riconoscibile o nota, le autorità facevano apporre una didascalia con il nome della persona sottoposta alla pena. Purtroppo quasi nessuna di queste opere è giunta sino a noi in quanto si trattava di manifestazioni artistiche che avevano una funzione limitata nel tempo.
Per comprendere l'effetto psicologico di tali raffigurazioni dobbiamo soffermarci sull'antico codice d'onore, dove la vergogna era la più significativa forma di punizione sociale.
Questo tipo particolare di pittura nacque nel nord e nel centro dell'Italia per colpire i condannati in contumacia di determinati delitti: il furto, il tradimento, la bancarotta e quei delitti per i quali non esisteva un possibile rimedio legale.
L'immagine di chi si era macchiato di determinati reati era dipinta sui muri esterni degli edifici nelle piazze centrali o sulle porte d'accesso alla città. Uno dei primi resoconti che narrano della pittura d'infamia risale al 1261, quando gli Statuti di Parma introdussero tale pittura tra le pene previste dal codice. Probabilmente per inserirla all'interno di uno Statuto la punizione era già nota da tempo.
Durante il periodo di passaggio dal medioevo all'epoca moderna, la pittura infamante si concentrò soprattutto a Firenze. Uno dei primi esempi della città toscana era inerente alla rappresentazione di Bonaccorso di Lapo Giovanni. Bonaccorso nacque a Firenze, probabilmente, intorno al primo ventennio del XIV secolo, poiché in un documento del 1388 era menzionato come assai vecchio. Nella città toscana doveva essere assai noto se in una novella di un autore, anonimo, del tempo fu riportato un aneddoto che lo riguarda. Nel 1388, anno cui si riferisce la frase dell'assai vecchio in riferimento a Bonaccorso, fu corrotto dall'oro dei Visconti. Scoperto nel novembre dello stesso anno, riuscì a fuggire a Siena. Fu condannato a morte in contumacia e il suo patrimonio confiscato. Bonaccorso di Lapo Giovanni fu rappresentato, sui muri della città toscana, impiccato a testa in giù circondato da diavoli.
Nella Firenze di quel periodo furono molti gli artisti noti che ricevettero, loro malgrado, il compito di rappresentare qualche delinquente sui muri dei palazzi del centrò della città.
Tra i più noti ricordiamo Botticelli, Andrea del Sarto e, soprattutto, Andrea del Castagno, noto come Andreino degli impiccati.
Andrea di Bartolo di Bargilla, noto come Andrea del Castagno, nacque a Castagno nel 1421. Fu uno dei protagonisti della pittura fiorentina nei decenni centrali del XV secolo, assieme a Beato Angelico, Filippo Lippi e Paolo Uccello. Andrea del Castagno, dal nome del paese d'origine, visse buona parte dell'infanzia tra i pascoli dell'Alpe San Benedetto. Giunto a Firenze, fu Cosimo il Vecchio a concedere un'opportunità al giovane: gli commissionò i ritratti d'infamia per gli avversari politici banditi dalla città. Andrea fu talmente bravo nell'immortalare i condannati che il suo nome circolò rapidamente tra le vie della città toscana, tanto che gli fu affibbiato il nomignolo di Andreino, dalla giovane età, degli impiccati. Soprannome che gli resterà vicino per tutta la vita.
Anche il noto Botticelli ricevette un incarico per dipingere l'infamia sui muri di Firenze. Era il 1478 e il grande artista fu pagato per dipingere in Piazza della Signoria le effigi dei partecipanti alla congiura dei Pazzi. Botticelli ritrasse alcuni di essi appesi per la gola mentre i latitanti per un piede. La Congiura dei Pazzi, conclusasi il 26 aprile del 1478, fu una cospirazione ordita dalla famiglia di banchieri fiorentini de' Pazzi, avente lo scopo di stroncare l'egemonia della famiglia dei Medici tramite l'appoggio del papato e di altri soggetti esterni, come la Repubblica di Siena o il Regno di Napoli. La congiura condusse alla morte di Giuliano de' Medici ed al ferimento di Lorenzo, senza riuscire nell'intento di interrompere il potere della potente famiglia fiorentina.
Ancora nei primi decenni del Cinquecento la pittura d'infamia era presente sui muri delle città.
Nel 1529 fu richiesto ad Andrea del Sarto di raffigurare i tre capitani che avevano tradito la Repubblica di Firenze passando tra le fila del nemico. Andrea del Sarto non volle apparire come il reale autore del dipinto, probabilmente consapevole della reputazione di Andrea del Castagno, attribuendo l'opera all'allievo Bernardo del Buda.
Nei decenni successivi la pittura infamante perse completamente il suo significato, andando verso l'estinzione.
Purtroppo nessuna di queste opere è riuscita a giungere sino a noi perché il loro effetto era limitato nel tempo. Per nostra fortuna alcuni disegni preparatori hanno resistito al trascorrere dei secoli. Il ricordo di queste opere ci permette di comprendere che la comunicazione e l'immagine pubblica erano dei pilastri della società anche in epoca rinascimentale.
Fabio Casalini
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/
Bibliografia
Gherardo Ortalli, La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma, Jouvence, 1979
Gherardo Ortalli, Comunicare con le figure contenuto in Arte e storia del medioevo, Torino, Einaudi, 2004
FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.
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