CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

sabato 26 dicembre 2020

DPCM illegittimi! Lo conferma l'ordinanza del tribunale di Roma n 45986 2020 RG del 16 dicembre






Le violazioni dei Dpcm
Il tribunale civile di Roma cita "tutti i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, MariniBaldassarre, Cassese". Inoltre viene spiegato che non vi è alcuna legge ordinaria "che attribuisce il potere al Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario". Dunque i Dpcm sono incostituzionali? Si legge che "hanno imposto una rinnovazione della limitazione dei diritti di libertà". Invece avrebbero richiesto "un ulteriore passaggio in Parlamento diverso" rispetto a quello che si è avuto per la conversione del decreto Io resto a casa e del Cura Italia. "Si tratta pertanto di provvedimenti contrastanti con gli articoli che vanno dal 13 al 22 della Costituzione e con la disciplina dell’art 77 Cost., come rilevato da autorevole dottrina costituzionale", viene aggiunto.

Per essere validi i Dpcm, come atti amministrativi, devono essere motivati ai sensi dell'articolo 3 della legge 241/1990. Alla base di ogni decisione è sempre stato citato il Comitato tecnico-scientifico, le cui analisi - spiega il giudice - sono state riservate per diverso tempo e sono state rese pubbliche solamente a ridosso delle scadenze dei Dpcm stessi: "Ritardo tale da non consentire l’attivazione di una tutela giurisdizionale".

Restrizioni, lockdown e coprifuoco. Eppure, stando allo studio del 18 dicembre della Johns Hopkins University, dai dati emerge che l'Italia è il Paese al mondo con la più alta mortalità da Coronavirus ogni 100mila abitanti: 111,23 decessi ogni 100mila abitanti; seguono la Spagna (104,39), il Regno Unito (99,49) e gli Stati Uniti (94,97). Evidentemente i decreti del presidente del Consiglio sono serviti pure a poco. 

Non ditelo ai cittadini italiani che hanno affrontato un Natale piuttosto insolito a causa delle restrizioni imposte dal Governo. Anche se queste ultime misure sono state introdotte con un decreto legge, dall’inizio della diffusione del Covid il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sviluppato una discutibile propensione all’utilizzo dei DPCM. Atti amministrativi che hanno nel tempo suscitato più di un dubbio sulla loro legittimità. E da Roma adesso arriva una novità in questo senso.

L’ordinanza del Tribunale di Roma che boccia i DPCM
Perché il Tribunale di Roma si è recentemente pronunciato con un’ordinanza per risolvere un contenzioso tra il proprietario di un immobile e il locatario. In particolare il locatario richiedeva una riduzione dell’intero canone di affitto proprio a causa delle restrizioni imposte dal virus e della conseguente impossibilità di esercitare l’attività con un fatturato pieno.

Il Tribunale di Roma ha incredibilmente rigettato la richiesta con una motivazione del tutto sorprendente. Secondo il Tribunale infatti le restrizioni che il Governo ha introdotto attraverso l’utilizzo dei DPCM non sono legittime e quindi l’esercente commerciale avrebbe dovuto impugnarle di fronte ad un tribunale per poter riprendere la propria attività senza impedimenti.


https://www.byoblu.com/2020/12/24/i-dpcm-sono-illegittimi-il-tribunale-di-roma-sbugiarda-conte/


Il costituzionalista Sabino Cassese: "Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo, la sua funzione non è quella di dirigere la politica settoriale del governo, questo c'è scritto nella Costituzione. Questo Presidente del Consiglio ha in più un problema particolare, costituito dal fatto che l'indirizzo politico del secondo governo che lui presiede è completamente diverso da quello del precedente governo che ha presieduto".


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Il TAR ordina al governo di esibire i verbali del CTS che giustifichino le restrizioni covid dei dpcm anche quelle circa Natale e Capodanno 

Inoltre notifica che le misure adottate ossia le restrizioni non sono testate sull'impatto conseguente .. tipo le mascherine in classe per i minori di 12 anni.Tutto ciò grazie alle denunce pressanti da parte di un gruppo di avvocati sardi

Ricorso 91/22 del 2020

Ordinanza TAR del Lazio 74/ 68 del 2020

https://www.facebook.com/InformareSenzaCensure/videos/745182316096645



I DPCM di Conte sono infondati: ennesima conferma dal T.A.R. per il Lazio, I sezione, con l’ordinanza n. 7468/2020.

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/12/i-dpcm-di-conte-sono-infondati-.html


Coronavirus, Italia DCPM INCOSTITUZIONALI: il giudice di Pace di Frosinone annulla le multe emesse durante la quarantena, la sentenza parla di incostituzionalità del Decreto di emergenza

http://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/08/coronavirus-italia-dcpm.html


ANCHE IL PARLAMENTO UE CONTRO LE RESTRIZIONI COVID: “METTONO A RISCHIO LA DEMOCRAZIA!”

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/11/anche-il-parlamento-ue-contro-le.html


L'Osservatorio sulla Legalità Costituzionale: «Proroga stato di emergenza, questa è una rottura costituzionale valutiamo di impugnare provvedimento»

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/07/losservatorio-sulla-legalita.html


Dpcm coronavirus, Incostituzionali.... Il COMICOST, Comitato per le libertà costituzionali Notifica un Ricorso Straordinario al Capo dello Stato Sergio Mattarella

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/07/dpcm-coronavirus-incostituzionali-il.html


Coronavirus, i DCPM di Conte sono incostituzionali: dopo Sabino Cassere e Antonio Baldassare si aggiunge Annibale Marini un altro giudice emerito della corte costituzionale

http://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-i-dcpm-di-conte-sono.html


Coronavirus, Italia: migliaia di cittadini denunciano Giuseppe Conte e le ombre a cui fa da prestanome

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-italia-migliaia-di.html


Coronavirus, Italia: anche i giudici della corte costituzionale denunciano l'illegittimità del regime instaurato

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-italia-anche-i-giudici.html


Coronavirus, Italia: l'appello degli 80 avvocati contro le restrizioni illegittime alla libertà del Governo

https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-italia-lappello-degli-80.html


Coronavirus, Italia: la denuncia contro la dittatura instaurata arriva alla camera, grazie a due deputati

http://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-italia-la-denuncia-contro.html


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https://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-italia-anche-i-medici.html


Coronavirus: la Camera Civile degli Avvocati di Prato chiede l’annullamento del DPCM del 10 aprile: “E’ illegittimo”

http://informaresenzacensure.blogspot.com/2020/04/coronavirus-quando-una-sola-persona.html

fonte: INFORMARE SENZA CENSURE

 

domenica 1 novembre 2020

il trucco dietro la farsa del (falsi) positivi asintomatici

Credo di aver abbondantemente dimostrato che i tamponi Covid sono del tutto inaffidabili, e servono solo per mantenere in piedi la tragica farsa degli asintomatici positivi che proroga all’infinito questa devastante falsa pandemia. Ma oggi ho scoperto un nuovo elemento di questa vera e propria truffa, la scelta di ridurre la positività al tampone al rilevamento di uno solo dei 3 geni che definirebbero il SARS-Cov 2.

Sapete anche che, pur sostenendo che il virus non è mai stato isolato e non esiste prova della sua patogenicità, cerco sempre di trovare le contraddizioni all’interno dell’impianto ufficiale che sostiene la narrativa pandemica. Ed è facendo questo che ho scoperto quest’ulteriore tassello della truffa. Altri magari l’avevano già scoperto. In effetti, sono stato allertato inizialmente da una dichiarazione del Prof. Palù, riportata proprio nell’articolo de La Verità che ha parlato anche di me e della nostra denuncia contro i tamponi:
“Se si usa un kit di tamponi che amplifica un solo gene, come si fa oggi per velocizzare, si amplifica la sensibilità con il rischio di falsi positivi.”
Quando ho letto questa frase mi si è acceso un campanello di allarme. Ma è solo quando mi è capitato per mano un certificato di un tampone Covid, che ho capito. Questo è il certificato:



Come vedete, il test ha cercato 3 geni, il gene E, il gene RdRp e il gene N. Si tratta di 3 geni che sarebbero tutti e 3 caratterizzanti il SARS-Cov 2. Dunque, se il virus fosse presente, dovrebbero essere trovati tutti e 3, perché se il virus è integro, l’unico caso in cui può avere un ruolo patogeno e infettare, è chiaro che il test deve trovare tutti e 3 i geni che lo compongono. Se ne trova solo uno, o è un test negativo, oppure deve ammettere che del virus ce n’è solo un pezzo.
E in effetti, all’inizio era così: eri positivo solo se il test rilevava tiutti e tre i geni. Ma, come spiega lo stesso certificato, tutto è cambiato nell’Aprile scorso:
”dal 02/04/2020, in accordo con il centro coordinatire regionale, la rilevazione anche di un singolo gene target di SARS-Cov2 viene interpretata come esame POSITIVO”.

Quindi, se si fosse mantenuto l’approccio originario, quasi sicuramente la massa di positivi asintomatici che abbiamo oggi non ci sarebbe stata. Invece, con questo cambio in corso d’opera, improvvisamente basta rilevare un solo gene dei 3, per essere dichiarati positivi!
E come ho spiegato nel mio documento sui tamponi, la necessità di rilevare tuti e tre i geni diventa evidente quando si guarda alla scarsa specificità di ciascun gene. Sotto vediamo le sequenze geniche della equipe tedesca di Drosten, colui che ha fatto il test-tampone dichiaratamente solo al computer, senza avere nessun virus fisico a disposizione. Si tratta comunque di un test-tampone tra i più diffusi in Europa:


Come si vede, il tampone di Drosten utilizza tutti e 3 i geni: E, N e RdRP. Ma se confrontiamo la sequenza genica del SARS-Cov 2 con quella del SARS-Cov originario (al penultimo posto nella lista), vediamo che:
  • - il gene E del SARS-Cov 2 è identico al 100% a quello del SARS-Cov1, e probabilmente a quello di tutti i SARS coronavirus (nella penultima riga non ci sono variazioni di lettere);
  • - Il gene N ha una sola variazione, una C invece di una T, al 15° posto della sequenza del Reverse primer. Questa è una variazione di appena 1/64esimo, ovvero di appena l’1.5%. Le possibilità di confusione e cross-reattività (rilevare un SARS virus diverso dal SARS-Cov2) è molto elevata.
  • - Il gene RdRP è l’unico che ha 5 variazioni su 64, di nuovo non una grande differenza, anche se meglio degli altri due.
Quindi, in base alla nuova diposizione secondo cui un solo gene è sufficiente, se il gene che si rileva è il gene E, il test non dovrebbe avere nessun valore, dato che si tatta di un gene aspecifico, ovvero proprio di tutti i coronavirus; e invece, oggi, se ti rilevano il gene E, sei positivo, con tutte le conseguenze del caso.

Se, come in questo caso, ti trovano solo il gene N, il rischio di cross-reattività, cioè che il test reagisca ad altri virus o particlle virali, è molto alto, dato che il gene N ha solo un nucleotide di differenza su 64, quindi basta un niente (specie se si considera che si insiste sempre sulla mutevolezza del virus), per “beccare” un virus diverso , magari del tutto innocuo (da cui l’asintomaticità). Quindi, anche qui, col solo gene N, si è quasi certi di risultare positivi a qualsiasi particella simil-virale, come spiegano alcuni ricercatori che hanno valutato la cross-reattività dei test tampone:
“…abbiamo trovato che solo uno di loro (il gene RdRP-SARSr-P2) è quasi specifico per il nuovo coronavirus, mentre le altre “sonde” (sequenze geniche) rilevano anche altri tipi di coronavirus. Sotto questo aspetto, i risultati con falsi positivi possono ampliarsi in rapporto al Covid-19”. (Kakhki RK et al, COVID-19 target: A specific target for novel coronavirus detection, Gene Reports 20 (2020) 100740).

Quindi, per concludere, anche se ritengo che non ci sia nessun virus patogeno, è chiaro che, ponendosi dal punto di vista di chi crede a questo super-patogeno SARS-Cov2, data la sua “forza” patogenica, non dovrebbe essere difficile trovare tutti e 3 i geni indicati come costitutivi del virus. 
 
E allora, perché si è deciso che per la positività è sufficiente trovarne 1 solo? 

Palù, diplomatico, afferma che è stato per velocizzare le cose; io, che come Andreotti ritengo che a pensar male si può far peccato ma spesso ci si prende, penso che abbiano fatto questa decisiva modifica perché quando hanno visto che i morti causati dalle terapie sbagliate di Marzo stavano iniziando a scemare, e c’era bisogno di tenere altro il livello di guardia coi positivi, per quanto asintomatici, hanno stabilito una procedura che garantisse di trovare quanti più positivi possibile, per quanto asintomatici, che è quello che è successo e sta continuando a succedere.

Ora, io faccio appello a tutti coloro che, in buona fede, credono al virus super-patogeno: OK, ma non si dovrebbe far sì che tale virus venga rilevato in modo corretto, e senza trucchi?

E a questo proposito, si guardi l’altra affermazione contenuta nel certificato Covid:
“Rilevata positività con valori di CT > 35. Si ricorda che tale condizione, in più del 95% dei casi, non è associata a presenza di infettività.”

Questo significa che l’unico gene rilevato, come se non bastasse la sua aspecificità e cross-reattività, è stati rilevato con un numero di cicli di PCR superiore a 35, il che, a detta di tutti gli esperti seri di PCR, genera risultati non affidabili, e generalmente “spazzatura”. Almeno, in questo laboratorio, hanno scritto che il positivo in questione non è infettivo; ma pensate che ciò venga riportate nelle terroristiche statistiche nazionali?

Dott. Stefano Scoglio
 

 

sabato 19 settembre 2020

censura 2.0. A Bologna impedita la mia conferenza

 

Marcello Pamio

Ieri 29 agosto 2020 proprio nello stesso momento in cui una marea umana (nel silenzio tombale dei media mainstream) si riuniva a Berlino per la imponente manifestazione contro la “Dittatura sanitaria”, mi trovavo a Bologna perché avrei dovuto tenere una conferenza al Bo Etico Vegan Festival.
Manifestazione organizzata dall’amica Marina a cui partecipo volentieri ogni anno da almeno cinque di fila proprio per l’affetto e la stima che ci lega.

La mia relazione è stata volutamente impedita da un gruppo facinoroso, da una squadriglia formata esclusivamente da gay, lesbiche che urlando, sbraitando e offendendo ne hanno impedito lo svolgimento.
Il frutto del contendere non riguardava i nostri amici a quattro zampe (o a due zampe, e lo dico perché non vorrei una denuncia per aver discriminato gli animali a due zampette), ma il bipede chiamato uomo.
Sono stato apostrofato come “fascista”, “omofobo” e “transfobo”, questo ultimo termine, sicuramente un neologismo, mi era del tutto sconosciuto, per cui ringrazio questi giovani indefessi (non è un’offesa, eh?) per avermi fatto crescere culturalmente.

Non perdo tempo a dire che queste offese mi lasciano indifferente, perché ovviamente non vere, e certamente non devo giustificarmi nei confronti di nessuno: sono onesto e coerente con me stesso, e ci metto sempre la faccia.
Tra le cose che più mi hanno contestato è la visione omofoba tradizionale della famiglia (papà, mamma e figlio) non così allargata come vorrebbero, per loro due padri o due madri e figli. Chiedo venia ma non sono così evoluto.
Una coppia omosessuale deve avere riconosciuti tutti i diritti come chiunque altra realtà, ma quando ci sono di mezzo delle piccole creature allora il discorso si fa molto più delicato e complesso!

Ma per loro poco importa se la natura non lo contempli: l’uomo deve essere libero di fare quello che vuole. Per cui se due uomini vogliono un figlio non devono far altro che pagare una povera ragazza che per disperazione affitta il proprio utero per nove mesi. Gran bella libertà, complimenti.
Due donne invece devono prendere lo sperma congelato di un uomo da qualche banca del seme, e poi farselo impiantare in tuba.
La tuba ricordo essere il luogo d’incontro, dove avviene la magia della fecondazione, dove l’OVULO (il femminile) SCEGLIE LO SPERMATOZOO giusto (il maschile), quello la cui vibrazione è perfetta.

La narrazione ufficiale vorrebbe farci credere che è lo spermatozoo più veloce a vincere la corsa, come se fosse una semplice gara, perché nel loro paradigma la vita è competizione! Invece è la danza della Vita: un momento di pura magia, che dura anche ventiquattr’ore nelle quali l’ovulo roteando ed emettendo lampi di luce (biofotoni) sembra proprio danzare, con la finalità di scegliere (o anche no) lo spermatozoo.

Già da questi primi istanti si dovrebbe capire che la Vita si erge dalla fusione/unione del maschile con il femminile. Mi dispiace dirvelo, ma con due “principi” femminili o due “principi” maschili LA VITA NON SI SVILUPPA, né oggi, né mai. Mettetevelo dentro il cervello: potete urlare per impedire le riunioni, potete far saltare le conferenze, ma i risultati delle vostre azioni andranno contro di voi e contro la Vita.
Fa tristezza poi aver visto che tra le persone che più mi hanno attaccato e contestato c’è stato un medico (forse perché ha la figlia lesbica). Attenzione non un medico di famiglia qualunque, ma vegano e soprattutto animalista, quindi in teoria una persona sensibile e aperta mentalmente.
Qualunque medico che parli per esempio di aborto dovrebbe prima riprendere in mano il giuramento di Ippocrate: “Primum non nocere”. “Mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.
Così tanto per ricordare, tralasciando il resto per pura decenza d’animo nei suoi confronti.

Concludo questo sfogo ringraziando Marina che da ben otto anni, con tutte le difficoltà del caso, organizza un evento importante a Bologna. Grazie per l’invito e per aver sempre avuto fiducia nella mia persona, per aver cercato in ogni modo di far ragionare gli animi feriti, ma chi osserva la realtà con gli occhiali neri dei pregiudizi e della rabbia non può vedere la vita per quella che è, ma solo quello che vuole vedere. D’altronde il Rifugio Alma Libre specifica chiaramente che “noi antispecistx, frocie, lelle e trans non accettiamo nessun confronto pacifico con certa gente di merda”. Capito l’antifona e l'amore per il prossimo?

L’amarezza è doppia perché quando si pensa ai giovani che si fanno in quattro per difendere giustamente i diritti degli animali, degli esseri più indifesi, e nella realtà si vede che sono più aggressivi e cattivi di tanta gente, beh questo fa riflettere.
Senza saperlo si comportano esattamente come quel Sistema che massacra gli animali; quel Sistema che loro stessi combattono. Inconsapevolmente si comportano come nel fascismo quando impedivano le conferenze non gradite al regime...

Ringrazio infine tutte le persone che sono arrivate anche da lontano per ascoltare quello che avevo da dire sul delicatissimo momento storico che stiamo vivendo, il “periodo del corona”, e sulle possibili vie di uscita, ma per qualcuno queste cose non si dovevano dire: l’ordine alla “manovalanza” era infatti di impedire la conferenza con ogni mezzo…
Nonostante tutto ringrazio anche chi mi ha attaccato perché così facendo mi hanno dato ancor più forza e linfa vitale per andare avanti!

fonte: DISINFORMAZIONE

domenica 23 agosto 2020

Beppe Grillo, il profeta del postumano-disumano - Darwinismo alla rovescia: da evoluzione a involuzione


Con un mio intervento video alla conferenza sul 5G
BEPPE GRILLO, IL PROFETA DEL POSTUMANO-DISUMANO
Darwinismo alla rovescia: da evoluzione a involuzione

https://youtu.be/hTrYHK6aJ90  Fulvio Grimaldi sul 5G a Trevignano. Chiedo scusa per la scarsa qualità di una ripresa improvvisata.
Feriae Augusti
Scrivo questo nella giornata della Festa dell’Assunta. Quella che il popolo, nella sua memoria inconscia, ma collettiva e incancellabile, insiste a chiamare “Ferragosto”, confermando trattarsi della Feriae Augusti, quella di ben 15 giorni di vacanze, con cui l’imperatore e il popolo celebravano la fine del raccolto, in onore di Canso, dio della terra e della fertilità. Terra e fertilità sono scomparse, la vacanza è rimasta, anche se ora viene severamente redarguita e, addirittura, tamponescamente punita, per coloro che se la sono concessa, magari in Spagna, o Croazia, o Grecia, magari avviluppati con sabbia o acqua su qualche spiaggia. Dopo i vecchi, rinserrati a estinguersi in casa, ora tocca ai giovani che ancora si muovono.
Teletrasporto
Il raggiro, sulla base del quale ci si accanisce contro quando esercitiamo null’altro che il nostro diritto a vivere, si avvale del dogma, cioè dell’unico pensiero ammesso. La nuova campagna terroristica, basata sul nulla, è di una evidenza raggelante, perfino sotto la canicola agostana. In questa giornata di mezzo agosto si appaia all’altro dogma, quello della venerazione di una signora, ingravidata a insaputa sua, del legittimo partner e  di chiunque la frequentasse, risucchiata in cielo con armi a bagagli, a sfida divina della gravità. Impresa riuscita poi solo al Capitano Kirk dell’ ”Enteprise” in Star Trek.
Era il “teletrasporto” da cabina telefonica a cabina telefonica, pallida imitazione tecnologica di quanto capitato alla Madonna, quando, accompagnata da pippinai di puttini dal vago segno pedofilo, finiva, per disposizione di PioXII, in un cielo deputato a contenere, nella sua immensità, accanto a miliardi di corpi celesti, qualche milione di miliardi di esseri umani. Purchè cattolici, non peccaminosi, pentiti, o fruitori di esose indulgenze. Ci si dovrebbe chiedere come si troverebbe la povera Madonna, tutta testa ampiamente chiomata, busto, arti superiori e inferiori, apparato gastrointestinale, con le relative esigenze fisico-igieniche, tra un padreterno, un figliolo, uno spirito santo e trilioni di anime trapassate, tutte puro spirito, viventi nell’estasi dell’ineffabile, pure tutto spirito.
Grillo e la Madonna
Cosa c’entra tutto questo con l’appassionata perorazione per il 5G che Beppe Grillo, da bravo emissario dei signori del digitale, finalmente sceso in rete, denudatosi da solo a forza di orgasmi piddini, come l’imperatore della fiaba, ha espresso sul suo blog alla vigilia della festa dell’assunzione? Tanto più che, mentre il dogma di papa Pacelli celebra un corpo che, a dispetto della caducità di tutte le cose e del “polvere eravate e polvere ritornerete” se ne parte, con tanto di pelle e manti azzurri, verso i cieli e si manterrà corporalmente integro per l’eternità, lui del corpo celebra il disfacimento elettromagnetico e la resurrezione digitale. 
Dogma uguale imbroglio

C’entra. Intano ci troviamo davanti a due imbrogli, uno che ha retto per due millenni a forza di governare nascita e morte e promettere eterna dannazione, o eterna salvezza; l’altro, più laico e terreno, che si ripromette di durare anche di più, governando la scelta tra dannazione della morte e salvezza del vaccino. Chi non ci stava era eretico e finiva sul rogo e nella damnatio memoriae. Chi non ci sta è negazionista, finisce alla colonna infame e nella damnatio Burionis ac mediorum.
5G, venite adoremus
E’ in questo nuovo Zeitgeist che si è tempestivamente inserito Beppe Grillo con il suo atto di fede, di amore e di servizio per il 5G, possibilmente cinese. Lo ha compiuto in perfetta contemporaneità e sintonia con la disgregazione/sputtanamento, pure da lui originariamente pensati e ora gestiti, del cucuzzaro parlamentare e, in gran parte, amministrativo, entrambi prodotti da un astuto quanto dissennato processo elettorale di ‘ndò coglio, coglio, del Movimento 5 Stelle. Ecco il grillo ignaro a cui, come racconta un acuto entomologo, Andrea Cecchi, un perfido parassita, il verme nematomorfo, innesta la sua larva. Questa ha bisogno di acqua, ma il grillo vive sulla terra. Così la larva penetra nel cervello del grillo e lo zombifica al punto da farlo precipitare nella prima acqua a disposizione, dove annega e muore. Bella metafora se pensiamo al Grillo, al Movimento, ai signori del 5G/vaccino, tipo il nematomorfo Bill Gates. Eccovi il peana al 5G.


Iniettando il suo veleno digitale, al quale possiamo anche attribuire l’apparente dissennatezza di una organizzazione tutta digitale e “antifisica” del Movimento, senza corpi ed assemblee, in uno dei due corni del fenomeno epocale in corso, il guro per niente comico di Sant’Ilario ha dato il contributo richiestogli. Che era quello di schierare i suoi followers a sostegno del virtuale, digitale e decorporizzato, come si prefigura nell’apoteosi del 5G. Velocissima, globale e cosmica connessione di quinta generazione, integrativa, sinergica e complementare all’altro corno, l’Operazione Coronavirus. Senza che qualcuno ponga sconvenienti intralci relativi a rischi sanitari, fantasiosamente denunciati da centinaia di scienziati e già subiti da milioni di persone e senza che si tiri ancora fuori l’obsoleto principio di precauzione.
La testa, il dilemma, ha due corni
Come ho cercato di spiegare nel mio intervento al convegno 5G tenutosi a Trevignano, quei due corni escono dalla stessa testa. Testa bicorne sotto alla quale si può immaginare il piede biforcuto, con il che non si fatica a riconoscerla nella sua classica iconografia. Non più anticristiano, nel senso di Lucifero, portatore di luce (ragione), ma laico, tecnologico, digitale, antiumano, nel senso di demonio, spegnitore della luce, morfologicamente un po’ diverso.  
 Il leader del Movimento 5 Stelle
 
Verso l’uomo-macchina
Credo che ormai sia chiaro a molti (certamente al 1,3 milioni di manifestanti di Berlino) come il Covid19 stia al digitale 5G e al vaccino che, secondo l’Agenda ID20-20 dei signori di Davos, dovrebbe digitalizzare 7,3 miliardi di esseri umani (e fortunato il bassotto Ernesto che, insieme ai suoi simili per ora la scampa), come al treno sta la locomotiva (nel degrado della lingua oggi “motrice”). Col Covid abbiamo imparato a farci incarcerare a casa, a comunicare, lavorare, studiare, curarci, copulare (si fa per dire) via macchine al coltan e al litio, a stare isolati, distanti e diffidenti, a coprirci quattro quinti della faccia (secondo il Dr. Fauci, nemico di Trump, anche gli occhi con gli occhialetti), a stare lontani dai figli, a far stare lontani i figli dai figli degli altri. A entrare in sintono e sincrono con la macchina, a non poter esistere senza macchina e, dunque, a diventare macchina.

Molte cose ci hanno preparato alla bisogna, prima che Grillo allestisse la cerimonia finale. A forza di automatismi ed elettronicismi, ci siamo parzialmente atrofizzati. Chi gira più la manovella del finestrino, chi digita più i numeri nella rotella del telefono, chi muove più le gambe per andare a trovare l’amico, il nonno, chi, fra poco, guida ancora una macchina, al massimo un monopattino. Pochi ancora fanno i piani per arrivare su, in casa. Non ingobbiti su degli schermi per meno di 15 minuti al giorno, i nostri giovani passeranno dalla forma Prassitele a quella Andreotti. Ci servirà solo un grande dito indice, per spingere bottoni. Finchè non basterà uno sguardo. O il pensiero.

Darwinismo testacoda
E’ darwinismo alla rovescia, ben studiato e oleato. Con l’alternativa moderna di non farci retrocedere alla bestia, ma alla macchina. Proponendosi di formare dominanti globali, la tribù di Silicon Valley non fa avvicinare i propri figli al computer e la tribù dei vaccinari (spesso coincidono e entrambe coltivano il millenarismo del Talmud) non vaccina la sua prole. Sono la razza che pensa, decide, ordina. Tu esegui, per tutto il resto hai perso coscienza, conoscenza e facoltà.
Tutto sommato, l’umanità non se l’è vista troppo bene. Faticato per decine di migliaia di anni per uscire dalle caverne a schiena dritta e fronte ampia, per capire e farsi capire non solo a grugniti, per mettere per iscritto pensieri su tavolette di argilla, per muovere se stessa e le sue cose su ruote, tutto sempre con sforzo collettivo e di collaborazione, si ritrova a iniziare, esseri soli tra soli, rintanati in case come nelle caverne, su banchi scolastici isolati e su rotelle. Con il peggio che verrà dopo.
Tribù o impero
Qualche migliaio di anni come tribù autorganizzata e autodeterminata. Struttura orizzontale. Poi regni, imperi, satrapie, troni. Verticalissimi, appuntiti. Tutti inevitabilmente costruiti e retti su un impasto di sangue versato e di ossa spezzate. Il richiamo della tribù riusciva a volte a spezzare l’incanto e, dopo mezzo millennio, ci furono da noi i liberi Comuni e, dopo altri secoli, qualche repubblica e, quanto meno, la libertà del pensiero e della creazione. Raggiunse l’apice il pensiero tribale, poi nazionale, che i globalisti, che ne sono terrorizzati, ovviamente diffamano quanto possono, nei due secoli precedenti al nostro, tanto da riuscire ad arginare, almeno in Europa, i nuovi totalitarismi.
Oggi ci risiamo, l’eterna lotta tra i pochi disumani e i tanti umani da rendere subumani, o, come si dice meno bene, transumani, ci impone nuovi sovrani assoluti e sanguinari. Quelli del vaccino per l’ingegneria genetica, quelli del digitale, per l’ingegneria psicofisica. Con il 5G che, perfezionando il lavoro di WI-FI, 3G, 4G, completa la nostra distruzione biologica e il nostro annientamento cerebrale.


Non è detta l’ultima parola. Lo smascheramento di questi complottisti è iniziato. Leonardo da Vinci ci ricordava, contro tutte le baggianate catechesiche, che l’anima risiede nel cervello. E il cervello e il re del corpo.  Non c’è dubbio che sia così. Tanto è vero che i monoteismi non hanno mai cessato di prendersela con i corpi e con la loro congiunzione. Oggi, infettando e manipolando il cervello, rimuovendo dalla scena il corpo, anzi rendendolo un pericolo per sé e per gli altri, questi puntano alla nostra anima. Proprio come quegli altri spuntati duemila anni fa. Si tratta, ancora una volta, di difendere, col corpo, l’anima. E viceversa.

fonte: FULVIO GRIMALDI

domenica 26 luglio 2020

lotta... per il colesterolo



Marcello Pamio

Oggi ci occuperemo di un grasso importantissimo per il benessere dell'uomo. Un grasso che nel giro di pochi decenni è stato trasformato nel più infimo e pericoloso fattore di rischio cardiovascolare.
Mi riferisco al colesterolo, attualmente la vacca grassa molto sacra per le industrie della chimica e farmaceutica.
Ma andiamo per ordine. Tutto ebbe inizio a metà del secolo scorso, quando venne condotto il famoso Studio Framingham (1948) sicuramente il più grande ed articolato studio epidemiologico di popolazione in ambito di rischio cardiovascolare mai realizzato. Il nome è dato dalla città del New England negli Stati Uniti e lo studio avrebbe scoperto la relazione tra colesterolo elevato e rischio di infarto e ictus: ogni incremento dell’1% della colesterolemia è associato ad un aumento di incidenza di cardiopatia ischemica del 2-3%. Messi giù così questi dati non dicono molto, ma forse con un esempio la follia sarà più evidente.
Se una persona dovesse vedere il proprio colesterolo totale aumentare da 180 mg/dL a 250 mg/dL (aumento del 40% - cosa questa molto comune tra gli italiani), significa che quel povero disgraziato avrebbe un aumento dell'incidenza di cardiopatia del 120% (40%x3): insomma un morto che cammina!
In realtà lo studio mostrò che NON c’è nessuna significativa differenza nel rischio cardiovascolare fra individui i cui livelli di colesterolo variano da 204 a 294 mg/dL.
L'altra pietra miliare che diede il colpo di grazia al colesterolo avvenne dopo qualche anno - nel 1953 - per opera del dottor Ancel Keys, ricercatore dell'Università del Minnesota, il quale pubblicò il lavoro che sarebbe diventato il mito fondante della teoria sul colesterolo. Nello studio Keys inserì un diagramma basato sui dati di 6 diversi paesi del mondo in cui era riscontrabile una relazione evidente tra consumo di grassi e mortalità per cardiopatie coronariche. Immediatamente secondo la rivista “Lancet” «la curva tracciata non lascia dubbi sul fatto che esista un rapporto tra la percentuale di grassi negli alimenti consumati e il rischio di morte a causa di una cardiopatia coronarica». E se lo dice Lancet....
Peccato che il diagramma presentato sia errato: Keys prese in considerazione i dati provenienti da soli 6 paesi del mondo pur avendo a disposizione i dati di 22 paesi. Il motivo è presto detto: se avesse utilizzato i dati completi il rapporto tra consumo di grassi e morte sarebbe stato inesistente! “Negli Stati Uniti la mortalità dovuta a cardiopatie coronariche era 3 volte più alta che in Norvegia, anche se in entrambi i paesi il consumo di grassi era all'incirca lo stesso”.
Da quel momento in poi miliardi di persone sono state prima ingannate da queste pubblicazioni faziose e poi intossicate dai farmaci...

Origine delle statine

La correlazione tra grassi e morte era stata purtroppo gettata, ma il mondo dovette attendere qualche decennio prima che l'Industria farmaceutica sfornasse qualcosa di utile per abbassare questo pericolosissimo grasso.
Nel 1976 infatti due gruppi farmaceutici, uno giapponese e uno britannico, isolarono dal fungo Penicillium Citrinum la Mevastatina in grado di inibire la sintesi degli steroli, ovvero bloccare la produzione di colesterolo. Il primo farmaco a livello mondiale venne brevettato nel 1987: la Lovastatina.
Da allora molte sono state le molecole sviluppate in laboratorio per inibire la sintesi endogena del colesterolo e abbassare il suo livello nel sangue, e le statine si confermano da sempre ai primi posti in termini di spesa mondiale1. Nel 2000 le vendite dei farmaci ipolipemizzanti sono aumentate del 21% portando la categoria terapeutica al secondo posto nella classifica mondiale delle vendite di farmaci. Solo negli Stati Uniti è risultato essere in assoluto il farmaco più venduto con oltre 48.000.000 di confezioni vendute! Stiamo parlando di 20 anni fa...
Secondo un recentissimo report della società di ricerca, analisi e consulenza GlobalData: entro il 2023 il mercato globale dei farmaci contro il colesterolo arriverà a superare i 38 miliardi di dollari all'anno. Vero e proprio grasso che cola per le grinfie lobbistiche.

Trucchi degli Illusionisti

I trucchetti utilizzati dai “cantori” delle statine con lo scopo di documentarne scientificamente l’efficacia sono oggi ben conosciuti: logaritmizzazioni di curve, pre-trial per ripulire il campione dai pazienti non-responder, utilizzo di scale numeriche contraffatte, ampliamento degli eventi considerati rilevanti anche per danni minori e via così, confondendo e mistificando.
L'intento criminoso è “inventare” un farmaco dai vantaggi inesistenti sostenendone la validità però con la cosiddetta “Scienza basata sulle evidenze” (Evidence-based medicine).
Ecco le “evidenze”: per ridurre solo la probabilità di 1 evento cardiaco in un gruppo di 10 mila pazienti si richiede l’inutile trattamento degli altri 9.999 che non riceveranno alcun beneficio, ma avranno solo rischi e complicanze! Coloro che ci guadagnano sono sempre i soliti noti.

Cos'è il colesterolo?

Cerchiamo a questo punto di capire cos'è realmente il colesterolo e soprattutto a cosa serve.
Si tratta di un lipide grasso prodotto autonomamente dall'organismo (da 1 a 2 grammi al giorno) e introdotto attraverso l'alimentazione (0,1-0,5 grammi) e in un uomo di 70 kg è circa 150 grammi.
La prima importante osservazione è che con il cibo apportiamo appena un 10% del colesterolo totale e il restante 90% è autoprodotto, attraverso almeno tre vie di produzione interna dove quella epatica fa da padrone.
Nonostante ciò che è stato appena detto sui rischi del colesterolo il suo ruolo è preziosissimo per il funzionamento dell'organismo non solo organico ma anche sociale e comportamentale.
Vediamo a cosa serve questo grasso:
  • è un componente essenziale della membrana cellulare di tutte le cellule;
  • regola lo scambio di sostanze messaggere tramite la membrana cellulare;
  • è coinvolto nella crescita e nella divisione cellulare;
  • è la sostanza base per la sintesi di numerosi ormoni (aldosterone, cortisolo, testosterone, estradiolo, ecc.);
  • è essenziale per lo sviluppo embrionale;
  • è prodotto nel fegato e impiegato per produrre la bile;
  • si trova in grande abbondanza nel cervello, nel sistema nervoso, nelle ghiandole surrenali e nella pelle.
Sono tutte importantissime funzioni, ma in questa sede verrà sottolineato il senso biologico del colesterolo e la sua azione nella produzione degli ormoni sessuali, gli ormoni deputati alle relazioni umane.
Si può affermare che tutta la vita sociale umana è mossa da due “frequenze”, due “energie”: estrogeno e testosterone (femminile e maschile). Questi due ormoni regolano la socialità dando una percezione della vita e una reazione alla stessa molto diversa, a seconda che il cervello legga meglio l'uno o l'altro.
La statina interviene nella sintesi del colesterolo bloccandone la produzione a livello di fegato.
Siamo sicuri che questo freno chimico non abbia ripercussioni nella vita sociale dell'uomo? In fin dei conti il colesterolo è il precursore dei più importanti ormoni umani.
Certamente il sistema troverà il modo di compensare con altre vie di produzione, ma tale sforzo non è naturale.

Rischio del colesterolo alto

Abbiamo detto che stando alla medicina ortodossa, interventista e protocollare, avere un alto tasso di colesterolo nel sangue è un fattore di rischio perché sarebbe associato alla formazione delle placche arteriose, causa a loro volta delle patologie cardiovascolari (infarti, ictus, ecc.).
Possiamo veramente pensare che la sapienza magistrale della Natura che Opera nel mondo animale e nel mondo umano da milioni di anni, ad un certo punto erroneamente e senza un motivo specifico produca una sostanza collosa (colesterolo appunto) in grado di accompagnare precocemente alla tomba l'uomo o l'animale? Se questa narrazione non ci risuona allora sgomberiamo per un attimo tutti i condizionamenti mentali e accademici e cerchiamo di vedere se c'è dell'altro...
Solo cambiando paradigma e visione potremo inquadrare l'ipercolesterolemia come un fenomeno biologico vitale messo in atto dal cervello quando risulta necessario “sistemare” e riparare l'intima (ossia la parete interna) dei vasi arteriosi.
Se comprendiamo il senso biologico di quello che accade potremo vedere il quadro complessivo, e per farlo è necessario entrare per un attimo all'interno delle coronarie.

Senso biologico del colesterolo
Le coronarie sono dei canali pensati dalla Natura per convogliare sangue al miocardio (muscolo cardiaco) NON per nutrirlo, come pensano erroneamente i medici, ma per lottare!
Quando viviamo situazioni in cui ci sentiamo privati del “nostro” territorio e dobbiamo “lottare”, le coronarie vengono in aiuto. Se perdiamo quello che il cervello considera il “nostro territorio” (lavoro; famiglia o moglie nel maschio, ecc.; marito, identità nella femmina, ecc.) il cervello creerà delle micro-ulcerazioni nell'intima delle arterie con lo scopo biologico di allargare il condotto per far scorrere maggiormente sangue. Tale aumento è funzionale per la lotta, ed è tanto più forte nell'uomo destrimane e nella donna mancina.
Negli animali avviene la stessa medesima cosa, ma quello che differenzia loro da noi è il fattore “tempo”. In un branco, un lupo o un cervo sta nella “lotta per il territorio” per pochissimo tempo, cioè il tempo dello scontro fisico, mentre noi rimaniamo mesi o anni in determinate situazioni conflittuali con conseguenze devastanti e a volte anche letali.


Lupi che combattono per il territorio
In piena “lotta”, essendo il tessuto interessato derivante da uno specifico foglietto embrionale (ectoderma) molto innervato, abbiamo fastidio e/o dolore: la cosiddetta angina.
L'angina è il sintomo (segnale) che si sono attivate le coronarie, e che quindi stiamo vivendo un potente conflitto di lotta per il territorio.
Quando successivamente per svariati motivi risolviamo la faccenda, le ulcere devono essere riparate e il collante/stucco è proprio il colesterolo!
L'aumento della quota plasmatica di questo grasso indica un processo riparativo che segue sempre una “lotta”. Questo spiega perfettamente il paradosso delle popolazioni che mangiano enormi quantità di grasso eppure non conoscono l'ipercolesterolemia. Questi popoli (per esempio gli esquimesi inuit) non hanno nulla da conquistare o da perdere, quindi le coronarie non vengono attivate!
La persona col colesterolo alto normalmente è un po' aggressiva, ambiziosa, tendenzialmente competitiva e abituata al comando, al dover prendere decisioni.
Da noi quando una persona scopre l'ipercolesterolemia va dal proprio medico il quale diligentemente prescriverà obbligatoriamente (medicina difensiva) la statina...
Invece di cercare la causa dell'aumento del colesterolo è molto più facile assumere il farmaco per tutta la vita senza farsi troppe domande.
Il non cercare il senso biologico però è problematico perché se la persona continua a recidivare il conflitto (cosa che avviene nella quasi totalità dei casi) il rimaneggiamento e le numerose riparazioni possono causare il danneggiamento della parete arteriosa (aneurisma) arrivando, nella riparazione mediante colesterolo, all'occlusione vascolare (placche).
A questo punto la persona potrà fare un infarto e gli esami riscontreranno un cuore più o meno nella norma ma le coronarie occluse. I medici parleranno quindi di infarto causato dalle coronarie ostruite, e ovviamente il cui responsabile è sempre lui: il colesterolo!
La medicina, come sempre, è maestra nel confondere la causa con l'effetto!

fonte: DISINFORMAZIONE

mercoledì 24 giugno 2020

se chiudiamo gli studenti in una campana di vetro



Lucia Azzolina Ministro dell'Istruzione
Marcello Veneziani

Ma voi pensate sul serio che dovremo comprare dieci milioni di campane di vetroresina per metterci dentro gli studenti? Ma siete cretini, fate i cretini o ci credete cretini? E voi pappagalli, che nei media riferite seri e precisi i dettagli della gigantesca operazione di tumulazione in massa degli studenti in bare trasparenti, siete dementi, lavorate per dementi o considerate dementi i vostri lettori e spettatori, anzi i cittadini tutti? Ma avete pensato solo un attimo a quel che state dicendo e scrivendo, illustrandolo perfino con foto, progetti e disegni di queste cabine per immunostudenti; non avvertite l’ala sovrana dell’imbecillità avvolgere voi tutti, la scuola, il governo, i commissari, la ministra Azzolina e l’Italia intera?
Pensate, solo un attimo, per favore, non vi nuocerà alla salute farlo, almeno per un istante. Un paese che in tre mesi non è stato in grado di coprire il fabbisogno (a pagamento) di mascherine, cioè della cosa più piccola e banale che si potesse produrre, dovrebbe ora in un lasso di tempo uguale se non inferiore, dotare tutte le scuole italiane – le fatiscenti scuole italiane dove non si trovano i soldi per riparare un tubo – di una decina di milioni di campane di vetro, e della relativa manutenzione, sanificazione quotidiana. Anche il milione d’insegnanti sarà ricoverato in un astuccio di plexiglass e si muoverà tra gli studenti dentro una navicella trasparente che dovrà essere disinfettata a ogni cambio d’ora. Il sottinteso inquietante di tutto questo investimento massiccio e marziano è che quelle campane di plexiglass dovranno essere usate in permanenza nella scuola di oggi e di domani.
Non sarebbe infatti pensabile allestire questi cimiteri viventi in tutte le scuole di ogni ordine e grado, intubare milioni di ragazzi e docenti sani, compiere un’operazione finanziaria e strutturale così gigantesca, solo per fronteggiare l’eventuale rischio stagionale che il virus torni in autunno. No, evidentemente si sta pensando di convivere stabilmente con la paura della pandemia e la sua profilassi; i ragazzi verranno confezionati in barattolo come i cetriolini sott’aceto e i carciofini sott’olio, per tutto il loro corso di studi. Altrimenti dovrei dire che si pensa a questo investimento pazzesco e fugace solo per dare soldi a qualcuno e riceverli sottobanco – è il caso di dire – da qualcuno…
Ora ricapitoliamo i dati per tornare alla realtà e per rassicurarci che non stiamo in qualche film comico di fantascienza. Stanno pensando di riaprire le scuole in presenza e in sicurezza. Per realizzare questo progetto si mettono al lavoro imponenti comitati tecnico-scientifici, task force, aziende di consulenza che producono prototipi, sciami di amministratori e commissari governativi, più la Ministra dalle labbra rosse, evoluzione hard della maestrina dalla penna rossa. Si studiano le proposte più strane, caschi permanenti o perlomeno visiere, pannelli parafiato e parasputi in plexiglass, corridoi umanitari per accedere alle scuole in sicurezza, tunnel di vetroresina come qelli che collegano gli spogliatoi ai campi da gioco, grembiulini per alieni, cabine come ai tempi dei telefoni a gettoni…
L’unico precedente che io ricordi di una cosa del genere è Rischiatutto, il quiz di Mike Bongiorno degli anni settanta, dove i concorrenti dovevano entrare in una campana di vetro per rispondere al quiz. La definizione di Rischiatutto mi pare peraltro la più appropriata per descrivere il rischio sanitario e la sua profilassi. Qui però non si vince niente, non sono in gioco i soldi ma solo la salute; soprattutto mentale. Naturalmente la storia dei concorrenti televisivi sotto vetro risale agli albori della televisione, da Lascia o Raddoppia a Campanile sera.
La realtà, la scuola, sta diventando un’imitazione tardona della televisione.
La cosa più bella della scuola di ieri erano i banchi condivisi con un compagno, poi quello davanti, quello di dietro, quello di fianco con cui trescare, chiacchierare, scambiarsi informazioni e compiti; la cosa più bella era alzarsi, incontrarsi, toccarsi, avvicinarsi alla cattedra, senza essere respinti come appestati, vivere insieme l’avventura quotidiana della scuola. Guardarsi negli occhi, parlarsi viso a viso senza sentirsi nel parlatorio dei carcerati o allo sportello delle poste. Non si può andare a scuola equipaggiati da astronauti, da sommozzatori, da contagiati. Non si può andare a scuola pensando che la priorità non sia studiare, sapere, capire, ma proteggersi dal prossimo, tenersi a distanza, temere il docente più per il contagio che per il giudizio. Scansare non le interrogazioni ma gli sputi della docente e dei compagni di vetro-classe. Non si può insegnare, imparare, vivere, comunicare, in quelle condizioni. Per favore, diteci che ci state prendendo in giro, che avete allestito uno scherzo per coglionarci in massa, per prendervi gioco di noi. Perché non si può pensare davvero che un paese, un governo, un intero sistema scolastico, un ministero della pubblica istruzione possano con serietà occuparsi di queste costosissime minchiate (lo dico a scopo didattico nel gergo originario della ministra sicula).
Perché poi alla fine, dopo aver distrutto la società, i rapporti umani, il lavoro, l’economia, la scuola, l’istruzione, uno è costretto a dire che il rischio eventuale di un virus diventa a questo punto il minore dei mali, e comunque solo ipotetico. Mentre tutti gli altri mali elencati sono reali, effettivi e decisamente più incurabili. Nelle campane di vetro lasciateci santi e madonne.

Tratto da "La Verità" del 6 giugno 2020

fonte: DISINFORMAZIONE

sabato 20 giugno 2020

Digital Service Act: l'Europa prepara le nuove regole per le piattaforme online


La Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, a fine gennaio ha pubblicato le linee guida politiche per il periodo 2019-2024, nel quale sono riassunti gli obiettivi da raggiungere. Tra questi “un’Europa adatta all’era digitale”. I documenti confermano che la Commissione è impegnata nella stesura di norme: per i servizi digitali (Digital Service Act), per l’intelligenza artificiale (il Libro biancoqui un commento di Fabio Chiusi), un quadro per la governance dei dati, un piano d’azione per i media, la revisione delle norme sulla concorrenza, nuove norme in materia di tassazione e così via. Infine, la Commissione ha pubblicato la Comunicazione "Shaping Europe's digital future".
Una delle questioni che si propongono con sempre maggiore forza riguarda la regolamentazione delle piattaforme online e quindi la regolamentazione dei contenuti pubblicati da tali piattaforme o semplicemente immessi sui loro server dagli utenti.

Anche di questo si occuperà l'Europa nei prossimi mesi, in particolare tramite il Digital Service Act. L'approccio dell'UE mira a realizzare una terza via, con riferimento alla tecnologia, rispetto agli Usa e alla Cina. È piuttosto evidente che Cina e Usa sono più avanti tecnologicamente parlando, basta osservare che la maggior parte delle piattaforme del web sono americane, mentre le aziende tech che sempre più spesso sono sotto i riflettori (ad esempio in tema di riconoscimento facciale) sono spesso cinesi. L'approccio europeo è quello di realizzare una governance delle nuove tecnologie, tramite delle regolamentazioni che grazie alla loro validità (si pensi al GDPR) vengono progressivamente riprese e adattate da altri paesi.

Le norme in preparazione, per quello che qui ci interessa, partono da una serie di assunti, tra i quali:
  1. I social network devono fronteggiare troppe norme nell’occuparsi di hate speech, differenti norme tra i vari Stati dell’Unione, e regole diverse tra contenuti di testo e contenuti video.
  2. Non esistono regole vincolanti e comuni sulla pubblicità e in particolare su quella politica, per cui il micro-targeting cross border risulta facile da operare e può portare a campagne di disinformazione.
Problemi del mercato e obiettivi delle norme

C’è da premettere che il problema principale non è dato dall’assenza di regole. In realtà, infatti, le piattaforme online sono già ampiamente regolamentate: la direttiva copyright di recente riformata, la direttiva sul commercio elettronico, il regolamento sulla protezione dei dati personali, la Framework Directive (2002/21/EC) sulle reti e i servizi di comunicazione, la Comunicazione sulla repressione dei contenuti illeciti online, la direttiva Audio Video Media Services (AVMS), la direttiva per la protezione dei consumatori (2011/83/UE), il Codice di condotta sull’hate speech e così via.
I problemi, invece, sono i seguenti:

1) Norme frammentarie e divergenti: la frammentarietà delle norme, variando tra nazione e nazione, rende impossibile per i servizi che operano in tutti gli Stati dell’Unione conformarsi ad una pluralità di norme differenti. Ciò complica enormemente la possibilità di realizzare il Digital Single Market, un mercato unico digitale per l’intera Unione europea.

2) Regole obsolete e lacune normative: esiste anche un’esigenza di adeguamento delle norme, alcune delle quali (pensiamo alla direttiva sul commercio elettronico) sono risalenti nel tempo e quindi non proprio adatte alla realtà tecnologica odierna. Ad esempio, la distinzione tra provider (hostingcachingconduit…) appare insufficiente a categorizzare le nuove realtà (cloud services, content delivery networks, domain name services), e quindi rende difficile alle aziende nascenti capire a quali regole conformarsi. Lo stesso concetto di host attivo/passivo non è esente da critiche (l'art. 14 della direttiva eCommerce non richiede che l'hosting sia passivo per applicarsi l'esenzione prevista, ma solo che non abbia consapevolezza o controllo sul contenuto) e si ritiene che debba essere sostituito da qualcosa che rifletta meglio le realtà odierne. Di contro le norme in materia di responsabilità delle piattaforme per i contenuti degli utenti, in particolare la proibizione del monitoraggio generale e l’esenzione da responsabilità per le piattaforme, sono ritenute essenziali per lo sviluppo dell’ambiente digitale, anche se necessitano di alcuni aggiustamenti (e chiarimenti).

3) Incentivi insufficienti per affrontare il problema dei contenuti illeciti: uno dei problemi più sentiti riguarda la rimozione di contenuti illeciti (o semplicemente dannosi). Per come è configurata la normativa, come detto sopra, attualmente una piattaforma non è responsabile dei contenuti immessi dagli utenti se non ne ha consapevolezza o controllo (art. 14 della direttiva sul commercio elettronico). In caso contrario ne diventa responsabile a meno che non rimuova il contenuto (l’esenzione si applica se la piattaforma rimuove). È da notare che non c’è consenso sulla definizione di piattaforma (per la Commissione europea: un’impresa che opera in due o più mercati, che utilizza Internet per consentire interazioni tra due o più gruppi distinti ma interdipendenti di utenti in modo da generare valore per almeno uno dei gruppi), ma il termine è spesso utilizzato per sostituire quello di provider ritenuto non più attuale.

Con le nuove norme si stanno moltiplicando gli obblighi di filtraggio dei contenuti, per cui le piattaforme devono controllare i contenuti, e tale forma di controllo (monitoraggio generale) alimenta la paura delle piattaforme di diventare responsabili per i contenuti immessi dagli utenti (se controlli i contenuti ne diventi consapevole). Questo è un disincentivo alla gestione dei contenuti illeciti e la Commissione si preoccupa di dover chiarire meglio il quadro normativo in materia.

4) Supervisione pubblica inefficace: un aspetto fondamentale riguarda il controllo pubblico. Il rapido emergere dei servizi digitali ha reso sempre più difficile per i governi attuare delle efficaci politiche di controllo di questi servizi, alcuni dei quali hanno assunto dimensioni di “servizio pubblico”. La molteplicità delle regolamentazioni e l’assenza di un’autorità dedicata alle piattaforme rende difficile analizzarne il comportamento e quindi eventualmente imporre oneri e sanzioni. Oltretutto la complessità del business di alcune piattaforme rende dispendioso, in termini di tempi e costi, le istruttorie delle varie autorità settoriali esistenti (esempio: autorità per la protezione dei dati personali, autorità per la concorrenza). Paradossalmente in alcuni casi le varie autorità settoriali possono imporre oneri in contrasto tra loro.

Tutto ciò può portare alla delega di funzioni statali alle stesse piattaforme, senza però un necessario e efficace controllo pubblico su come vengono esercitati tali “poteri” delegati, anche in settori nei quali sono a rischio i diritti fondamentali dei cittadini. Il problema, secondo la Commissione, si pone principalmente in relazione alla moderazione dei contenuti e alla trasparenza della pubblicità (es. campagne di microtargeting).

5) Elevate barriere all’ingresso per i servizi innovativi: per come si presenta nel suo complesso la regolamentazione attuale ha un effetto dissuasivo sulle aziende che volessero avviare un nuovo servizio digitale in Europa. Un mercato frammentato, con regole diverse a seconda delle nazioni, è tale da creare delle vere e proprie barriere all’ingresso del mercato digitale europeo, in tal modo favorendo i servizi già esistenti che finiscono per consolidare la loro posizione semimonopolista.

Da questi problemi nascono le nuove proposte normative con i seguenti obiettivi:
  • Costruire una regolamentazione uniforme e chiara per le piattaforme che sia adatta a alimentare l’innovazione.
  • Tutelare i diritti degli utenti durante l’uso dei servizi digitali.
  • Assicurare la cooperazione tra i vari Stati membri dell’Unione e il controllo pubblico dei servizi digitali.
l Level playing field

Nel riformare la regolamentazione esistente si ritiene essenziale anche cercare di non imporre degli oneri eccessivi alle aziende per evitare che ciò possa castrare la capacità innovativa del settore, che appare l’elemento forse più importante nell’ecosistema digitale. La differenza principale, infatti, tra le “piattaforme” (non-linear provider) e le aziende tradizionali (linear provider) sta proprio nella capacità di collegare i fornitori e gli utenti, consentendo la creazione di “valore”. È quello che si definisce il “network effect” (il valore di un servizio aumenta in relazione al numero degli utenti, pensate ad un social network con un solo utente).
Questo effetto è dirompente (disruptive) e crea degli ovvi problemi ad analoghi servizi che non fruiscono delle esternalità di Internet. Da qui le tante aziende tradizionali che, da un lato cercano di spostare progressivamente i loro servizi nell’ecosistema digitale, dall’altro pressano i legislatori per l’introduzione di nuove regole (oltre quelle già esistenti) per bilanciare l’effetto dirompente delle nuove tecnologie. La conseguenza è il “level playing field”, che è il principio fondamentale sul quale si basano le proposte legislative europee a partire dal 2015 (Digital Single Market). Il level playing field (che potremo tradurre con “parità di condizioni”) è un principio in base al quale tutti i giocatori devono sottostare alle medesime regole (non vuol dire, però, che tutti i giocatori devono avere le stesse possibilità di successo).

Con la comunicazione sulla strategia del Digital Single Market nel 2015, la Commissione europea evidenzia che la rapida diffusione dei servizi OTT (Over the top, es. VOIP) è una minaccia per gli operatori telefonici tradizionali (incumbent). Questi ultimi, infatti, sono soggetti ad una serie di oneri (interconnessione, qualità dei servizi, protezione dei consumatori, ecc...) che non toccano, invece, gli OTT pur costituendo questi ultimi dei “sostituti funzionali” dei primi. Gli OTT, invece, sono soggetti alle meno onerose regole della direttiva AVMS e della direttiva sul commercio elettronico. Da ciò la Commissione ricava la necessità di estendere le regole dei servizi tradizionali anche agli OTT. In realtà, la cosa è un po’ più complessa, perché la Commissione ha intenzione di avviare una serie di norme tese a deregolamentare i servizi tradizionali, e nel contempo introdurre un set di regole specifiche per gli OTT, ma il concetto sostanzialmente è quello di realizzare un level playing field.
Creating the right conditions for digital networks and services to flourish – this requires high-speed, secure and trustworthy infrastructures and content services, supported by the right regulatory conditions for innovation, investment, fair competition and a level playing field.
Analogamente, la Comunicazione sulle piattaforme del 2016 introduce alcuni principi per una riforma della regolamentazione delle piattaforme online, tra i quali l’introduzione del level playing field. Anche con la Risoluzione sulle piattaforme online del 2017, la Commissione richiama l’esigenza di un level playing field tra le piattaforme online e gli altri servizi in competizione, estendendo il principio anche agli operatori non-UE.
Infine, con la recente Comunicazione Shaping Europe’s digital future, la Commissione richiama la necessità di assicurare un level playing field per le imprese, piccole e grandi, quindi un livellamento tra l’offline e l’online. E le norme anticoncorrenziali sono viste come ausilio al level playing field.
Quindi, l’Unione europea non solo ha una normativa piuttosto complessa sulle piattaforme, ma ha anche una politica sulle piattaforme, con un serie di iniziative già in atto. L’idea alla base è la convergenza delle regolamentazioni: a servizi analoghi deve corrispondere analoga regolamentazione.

Ad esempio la direttiva Copyright

L’impressione, però, è che l’approccio proposto non sia privo di problemi. In tal senso è piuttosto interessante la recente riforma della direttiva copyright, che si inquadra nel DSM e quindi si ispira anch’essa al level playing field, cioè creare condizioni di parità tra grandi piattaforme online ed editori, emittenti e artisti. La proposta di direttiva includeva originariamente un obbligo di utilizzo di sistemi di filtraggio preventivo dei contenuti, che col tempo è stato modificato (nel testo approvato) in obbligo di impedire il caricamento di contenuti in violazione dei diritti dei titolari. Il che non modifica la situazione perché l’unico modo di impedire il caricamento di contenuti in violazione dei diritti dei titolari, dato l’enorme numero di contenuti che viene caricato dagli utenti su queste piattaforme, è tramite l’utilizzo di sistemi di filtraggio dei contenuti.

Nei meeting relativi alla discussione dell’attuazione della direttiva Copyright, ascoltando le aziende che producono questi software di filtraggio è apparso certo (Copyright stakeholder dialoguesmeeting 16 gennaio 2020) che tali software non analizzano in alcun modo il contesto, ma si limitano a verificare la corrispondenza di un contenuto con l’“impronta” dell’originale. Questo è un problema, perché se per i contenuti pedopornografici, ad esempio, non esiste alcun contesto lecito, in tutti gli altri casi il contesto è essenziale per stabilire l'illiceità del contenuto. Quindi il sistema di filtraggio non è in grado di valutare se effettivamente il contenuto è illecito, in quanto l’utilizzo del contenuto potrebbe essere consentito in base a delle specifiche esenzioni, esenzioni che pur previste dalle norme, di fatto non sono applicabili all’ambiente online, mentre le esenzioni sul copyright sono riconosciute e applicate nell’ambiente offline.

Inoltre, la normativa stabilisce che un provider non è responsabile dei contenuti immessi dagli utenti se, nel momento in cui viene a conoscenza dell’illiceità dello stesso, provvede a rimuoverlo speditamente (art. 14 Direttive eCommerce). Tra l’altro è da notare che l’esenzione scatta solo se il provider poi rimuove, a differenza dell’analoga norma statunitense, cioè il 230 c) 2) del Communication Decency Act che protegge gli intermediari quando adottano misure volontarie per limitare l'accesso o la disponibilità di determinati contenuti ma anche quando mancano tali contenuti e non intraprendono alcuna azione (la cosiddetta protezione del Buon Samaritano). L’art. 15 della direttiva eCommerce vieta il monitoraggio generale delle comunicazioni. Con la sentenza "Scarlet extendend" la Corte di Giustizia europea ha precisato, al paragrafo 38, cosa si deve intendere per “general monitoring” ai sensi della direttiva sul commercio elettronico:
implementation of that filtering system would require– first, that the ISP identify, within all of the electronic communications of all its customers, the files relating to peer-to-peer traffic;– secondly, that it identify, within that traffic, the files containing works in respect of which holders of intellectual-property rights claim to hold rights;– thirdly, that it determine which of those files are being shared unlawfully; and– fourthly, that it block file sharing that it considers to be unlawful.
Le norme, quindi, sono state configurate in modo da dissuadere il provider dall’attuare un controllo sistematico dei suoi utenti. Nella sentenza "L’Oréal contro eBay" si chiarisce che le situazioni nelle quali la consapevolezza dell’illecito è conseguenza di un’indagine condotta di propria iniziativa dal provider, porta all’obbligo di agire prontamente per rimuovere il contenuto illecito. Il problema è che se vengono attuate misure proattive (software di filtraggio) le probabilità di trovare illeciti sale enormemente e quindi le responsabilità aumentano rispetto ad una situazione nella quale il provider si imbatte semplicemente in un illecito.

Introducendo la protezione del buon samaritano nel CDA, il Congresso USA ha effettivamente incoraggiato gli intermediari ad adottare misure proattive, laddove l’analoga norma europea, invece, tende a scoraggiarli. Perché non basta che il provider faccia del suo meglio per rimuovere i contenuti illeciti, la norma richiede che effettivamente i contenuti illeciti siano rimossi, altrimenti il provider ne risponde. In tal senso è ovvio che chi adotta misure proattive è incentivato a rimuovere tutto il possibile, in particolare i contenuti incerti, mentre le piccole aziende (per le quali i sistemi di filtraggio sono un costo eccessivo) sono incentivate a non usare tali sistemi.

Con la riforma della direttiva Copyright, invece, l’introduzione di tali sistemi di filtraggio è sostanzialmente (anche se non formalmente) obbligatoria per conformarsi (art. 17). Tra l’altro senza l’aggiunta di un efficace strumento per impugnare le “decisioni” del provider. La Commissione ritiene che anche i provider che rientrino nell’ambito dell’art. 14 della direttiva eCommerce devono utilizzare misure proattive, in caso contrario non possono fare affidamento sull’esenzione prevista.

Il nuovo sistema, in conclusione, appare studiato per massimizzare le rimozioni senza approfondire in alcun modo cosa realmente si rimuove, e quindi senza un reale bilanciamento dei diritti dei titolari coi i diritti fondamentali dei cittadini (es. libertà di espressione).

Delega alle aziende e diritti degli utenti

Un aspetto interessante riguarda la sostanziale delega alle aziende del web. Sono le aziende che, in fin dei conti, decideranno cosa e come rimuovere. E qui rientriamo nella problematica del “controllo pubblico”. La domanda da porsi è: quali garanzie hanno i cittadini sulle piattaforme online? Esistono le Costituzioni degli Stati membri, le Convenzioni europee, leggi che impongono ai governi di tutelare i diritti dei cittadini, in particolare la libertà di espressione. In che modo tali leggi limitano ciò che i governi possono fare per regolamentare le piattaforme online? Fino a che punto tali leggi consentono ai governi di chiedere alle piattaforme di regolamentare i contenuti online?

Tra piattaforma e cittadino (utente) il rapporto è sostanzialmente contrattuale, con la piattaforma in posizione dominante perché in qualsiasi momento può decidere di modificare, insindacabilmente, i suoi TOS (terms of service), così eventualmente azzerando le garanzie fornite originariamente al cittadino (un caso esemplificativo dell'incoerenza dei TOS e della gestione dei contenuti si è avuto nel 2019 su Youtube). Si tratta di un evidente squilibrio sul quale non si può sorvolare. Se la tendenza è quella di delegare alle piattaforme del web la gestione dei contenuti, e di conseguenza l’applicazione pratica dei diritti dei cittadini, dobbiamo prendere atto che nel web i diritti dei cittadini non sono realmente tutelati.

In tale prospettiva occorre tenere presente, ma è di evidenza solare, che le aziende private non sono particolarmente note per la capacità di proteggere i diritti delle persone, quanto piuttosto di massimizzare i loro profitti. Per cui è pacifico che la delega delle funzioni statali porterà a una riduzione esponenziale della tutela dei diritti degli utenti in Rete. Di fatto il sistema studiato (ad esempio dalla direttiva copyright) è strutturato per essere modellato dalle grandi aziende, siano esse piattaforme del web oppure aziende tradizionali (le prime sono obbligate giuridicamente ad accordarsi, supportare e tutelare le seconde).

In generale le aziende sono invogliate a stringere accordi (siano essi "volontari" oppure obbligati giuridicamente) per la regolamentazione di determinati aspetti del discorso online (es. contenuti pedopornografici), ma questi "cartelli dei contenuti" sono anche la risposta al crescente consenso che esistono aree che vanno oltre la concorrenza. È la stessa società civile che chiede risposte più adeguate alle aziende del web, di contro le aziende vedono sempre più la fornitura o meno di tali risposte come un problema "reputazionale". Se in alcuni casi le aziende concorrono tra loro (esempio: Facebook annuncia di non regolamentare gli annunci politici, Twitter e Microsoft rispondono differentemente) spesso è più conveniente la cooperazione (appunto, i cartelli di contenuti) per evitare strette legislative o semplicemente per ingessare il mercato.

Il problema è che questi "cartelli" (siano essi volontari che giuridicamente obbligati) tra aziende determinano maggiore opacità del sistema: se la decisione di un'azienda ha una precisa responsabilità, questa responsabilità si diluisce nel caso di "cartello". Inoltre, i cartelli appaiono più "neutrali" e quindi obiettivi (esempio: parlano di hashing quando in realtà si tratta di censura), i cartelli aumentano esponenzialmente il potere dei grandi attori, che finiscono per dettare la linea non solo agli attori più piccoli ma anche agli stessi governi, e così via.

Il punto è che se deve esistere uno standard per il discorso online (l'alternativa è lasciare fare al mercato), non possiamo lasciare tale decisione alle aziende dedite al profitto. Quello che occorre è una regolamentazione statale che imponga limiti specifici agli accordi contrattuali, così come avviene già in altri ambienti (esempio: bancario). Non stiamo parlando di mere esortazioni alle aziende private di tenere in considerazione i diritti dei cittadini nella moderazione dei contenuti, ma piuttosto di una vera tutela legale, specialmente dei diritti fondamentali (esempio: libertà di espressione). Deve essere lo Stato (l'Unione europea) a realizzare un quadro normativo, nel quale si dovrà stabilire cosa le piattaforme dovranno rimuovere, e anche cosa non potranno rimuovere (i contenuti legittimi), e soprattutto dovrà prevedere incentivi a non eccedere con la regolamentazione (es. non rimuovere i contenuti incerti). Questo è quello che si definisce un approccio orientato ai diritti umani. In assenza di un quadro regolamentare di questo tipo quello che si avrà sarà una regolamentazione orientata al profitto delle aziende.

Conclusioni

Le piattaforme online sono tra i principali driver della trasformazione digitale nel mercato unico. Tuttavia, il loro potenziale innovativo crea nuove sfide per i legislatori e la società in generale. La riforma del settore appare ormai necessaria ma le nuove norme dovrebbero da un lato garantire l’integrità e il funzionamento del mercato e dall’altro aumentarne il potenziale, alimentando l’innovazione e consentendo l’ingresso nel mercato di nuovi concorrenti (in tal senso chi ha più potere nel mercato dovrebbe avere maggiori oneri, come accade nel mercato dei carrier).

Purtroppo il lobbismo dei fornitori lineari, e delle aziende del web che hanno già conquistato una posizione dominante nel mercato, può facilmente dirottare le riforme, così finendo per proteggere i loro specifici interessi. Ad esempio, l’introduzione del diritto accessorio per gli editori (nella direttiva Copyright), a seguito del lobbismo dell’industria editoriale, rende più difficile a nuove aziende realizzare servizi innovativi per i media e fare concorrenza agli operatori maggiori, che hanno le risorse per condividere le entrate pubblicitarie con le case editrici. In un tale quadro lo spazio per i diritti dei cittadini appare sempre più ristretto.

Il principio del level playing field, se in teoria appare utile per il riequilibro del mercato, può facilmente portare a storture. Robert Kenny e Tim Suter, con il rapporto An unravelling of the Digital Single Market, A review of the proposed AVMSD del 2016, spiegano che il level playing field ha applicazioni limitate.
In genere ha senso se:
  • Le parti si trovano nello stesso mercato.
  • La regolamentazione è un peso per una parte ma non per l’altra.
  • La regolamentazione è un favore ad una parte ma non all’altra.
  • Oppure se i benefici della regolazione simmetrica superano quelli della regolazione asimmetrica.
Secondo gli autori il level playing field appare avere ben pochi utilizzi con riferimento all’ecosistema digitale, perché l’aspetto principale di tale ecosistema è proprio la “disruption” del precedente mercato lineare, introducendo innovazione in settori asfittici nel quale mancano investimenti seri da decenni, e che sono in crisi (pensiamo all’editoria). In tal senso si espresse nel 2013 anche l'Ofcom britannico (l'equivalente dell'Agcom) elogiando il nuovo modello di riferimento per i media, che si inserisce in un processo di "creative destruction" inevitabile per impedire l'immobilismo del mercato, per cui le aziende storiche hanno necessità di incamminarsi sulla strada dell'innovazione se vogliono sopravvivere. Solo un ambiente realmente innovativo può portare a nuovi modelli di business e creare nuovi mercati, concluse l'Ofcom.

Andrej Savin in Regulating Internet Platforms in the EU: The Emergence of the ‘Level playing Field’ afferma che l’attuale politica dell'Unione europea non è sufficientemente supportata da evidenze e studi e che il level playing field non appare altro che un modo per combattere la “disruption” introdotta dalle nuove tecnologie e favorire, in modo protezionistico, le vecchie industrie (es. editoria). Il livellamento frena i modelli di business innovativi, sradicando le possibilità di innovazione in un settore fino a poco fa controllato dagli incumbent.
The Commission focus is not on supporting innovation but on reversing disruption created by innovative business models
Del resto da quando si è insediata la nuova Commissione (alla fine del 2019) c'è stata una spinta, principalmente guidata da Francia e Germania, a essere più decisi nell’intervenire per conto delle imprese europee, specialmente nei settori strategicamente importanti come cloud computing, veicoli autonomi, pluralismo dei media, ecc.

Il timore è che le nuove regole possano portare ad ingessare un mercato a favore delle aziende che già hanno conquistato una posizione di rilievo, impedendo lo sviluppo e l'innovazione. Insomma, occuparsi delle aziende attuali senza pensare a quelle che potrebbero sorgere nel futuro. Occorre ben altro, quindi, a partire dall’introduzione di maggiore trasparenza che potrebbe tutelare meglio i diritti dei cittadini, laddove tale aspetto è fortemente minimizzato dalle riforme in atto. In tal senso notiamo che la nuova direttiva Copyright impone ai provider di fornire ai titolari dei diritti “informazioni adeguate sul funzionamento delle loro prassi per quanto riguarda la cooperazione di cui al paragrafo 4 e, qualora siano stati conclusi accordi di licenza tra i prestatori di servizi e i titolari dei diritti, informazioni sull’utilizzo dei contenuti oggetto degli accordi”. Cioè la trasparenza è verso le aziende, non verso i cittadini. Invece sarebbe fondamentale che le norme obbligassero le aziende a pubblicare i dati sulle rimozioni e sui motivi delle stesse (alcune delle piattaforme lo fanno già volontariamente), in modo che i cittadini possano sapere quante rimozioni sono effettivamente dovute e quante invece sono frutto di errori o peggio (es. vicenda Christian BuettnerUlrich KaiserJames Rhodesgatto che fa le fusavideo sull’insalataarticoli critici verso la direttiva copyright; caso Dancing Baby).

La moderna economia “digital driven” si basa prevalentemente sulla "disruption", realizzare leggi che si occupano di eliminare la "disruption" porterà solo ad annullare i benefici della nuova economia a favore dei vecchi monopolisti. Questo non significa che non occorrano delle leggi, ma per legiferare correttamente occorre prima di tutto una comprensione adeguata dell’ecosistema digitale. L’assenza di un quadro regolatorio, oppure un quadro regolatorio non adeguato, fa nascere e prosperare pure logiche di mercato, nelle quali i diritti dei cittadini finiscono per essere inghiottiti, a scapito dei profitti delle aziende.

A che punto siamo

Attualmente è in corso la consultazione pubblica sul Digital Service Act, aperta a tutti fino all'8 settembre. Entro la fine dell'anno (novembre) la Commissione dovrebbe presentare una proposta di legislazione che entro un paio di anni dovrebbe costituire la nuova legislazione in materia di piattaforme europee.

Bruno Saetta https://www.valigiablu.it/

fonte: VOCI DALLA STRADA