CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

martedì 21 novembre 2017

Blue Whale, il gioco del suicidio


Il primo libro che ho letto sulla vita di un killer seriale s’intitolava “Henry, pioggia di sangue.” Breve, coinciso, molto crudo, raccontava la vita di abusi e violenze di Henry Lee Lucas, condannato all'ergastolo per aver commesso un numero incredibile di omicidi, si ritiene 214. Solo per 11 di essi si trovarono prove inoppugnabili. 
Da quel giorno ho letto molto, il più possibile, cercando di capire cosa spinga un serial killer ad agire con un certo schema, come avvenga la scelta delle vittime e perché. Il cosiddetto Criminal Profiling. Poi improvvisamente, scopri che l'evolversi del tempo crea mostri sempre nuovi, che colpiscono in modo inaspettato e che non ci trovano preparati ad affrontare l’emergenza che si viene a creare. La Russia da alcuni anni è teatro di avvenimenti all’apparenza slegati fra loro, in realtà, se si fa molta attenzione, si scopre un sottile filo di collegamento fra i numerosi decessi degli adolescenti. Sono morti allo stesso modo, gettandosi da un palazzo, mentre l’occhio attento di una telecamera riprendeva i loro ultimi istanti di vita. Un edificio alto, una figura solitaria sul bordo del cornicione, qualcuno che riprende freddamente tutta la scena, e poi un passo, nel vuoto, il corpo  che cade, magari con le prime luci dell’alba che rischiarano l’orizzonte. Centinaia sono i video in rete, che documentano con quanta disinvoltura ragazzi, di età compresa fra i 9 e i 17 anni,   manipolati psicologicamente, abbiano compiuto questo gesto folle. Chi riprende non è un passante occasionale, ma altri ragazzini lì apposta per filmare gli ultimi istanti di vita di un amico o di un compagno di scuola. Fa tutto parte di un piano, di un gioco ideato da assassini indiretti, scaltri e preparati, che si sta diffondendo in rete, in modo capillare, in tutto il mondo, Italia compresa.


È gioco psicologico che ha lo scopo di indurre i partecipanti, adescati in rete, ad una depressione profonda, mediante manipolazione della mente, convincendoli che l’unico modo per poterne uscirne sia la morte.
Blue Whale, la balena azzurra, quella stessa che a volte va a morire arenandosi sulla spiaggia, è il simbolo di questo game, che conduce alla lentamente verso il suicidio.
Adolescenti all’apparenza normali, con una vita piena, felice. Amici, famiglia, sport, ginnastica, un gatto, un cane, le feste, la scuola, la musica. Tutto ciò che compone la quotidianità, la vita di tutti i giorni, quella stessa che conduciamo noi con i nostri figli. Nessun segnale evidente di disagio. Profili social aperti, come tanti, ma con una caratteristica comune: in tutti compaiono post in cui è riprodotta una balena azzurra, nel cielo, in mare, nello spazio, ovunque, segno identificativo della partecipazione al gioco.
157 sono i suicidi accertati in Russia riconducibili a Blue Whale, tutti con le stesse caratteristiche, tutti con lo stesso filo conduttore e lo stesso finale. Oltre a questo, il numero degli  hashtag associati alle "chat suicide" sui social russi, secondo le stime diffuse nel gennaio 2017  dal Rotsit, il Centro pubblico sulle tecnologie Internet, è di  almeno 4000 al giorno. Recenti studi evidenziano che in alcune zone della Russia, si è registrato  un incremento nella percentuale di suicidi tra adolescenti. La Russia detiene il  più altro tasso di suicidi d’Europa:  720 vittime nel 2016, un numero tre volte superiore alla media.
Un vero e proprio fenomeno sociale, che le autorità e i volontari delle associazioni nate appositamente stanno combattendo con decisione, anche con la promulgazione di leggi che inaspriscono le pene verso chi istiga al suicidio. Purtroppo le stime sulla diffusione di Blue Whale non sono positive, in quanto è stato rilevato in un numero sempre crescente di paesi nel mondo.


Il meccanismo è molto articolato. Si svolge in periodi. In alcuni le vittime sono prevalentemente ragazze, in altri ragazzi, dipende dagli ordini del curatore, colui che comanda il gioco, che dà le istruzioni da seguire giorno per giorno. Una sorta di tutor della morte.
50 regole, da seguire in 50 giorni, gli ultimi della vita del giocatore.
Dal giorno 1, passo dopo passo, viene iniziato un percorso di autodistruzione, fatto di sofferenza, autolesionismo, isolamento e annientamento psicologico, in cui emerge sempre più forte l’appartenenza al branco delle Whale e sempre meno quello al nucleo familiare.
A seconda dell’età della giocatore vengono usati meccanismi diversi per attirarlo nella rete. Per cercare di suscitare l’interesse dei più piccoli si usano immagini accattivanti, come fatine svolazzanti, dai lunghi capelli biondi che impartiscono istruzioni di morte e distruzione.
Ecco alcuni passaggi:  incidetevi sulla mano con il rasoio “f57” e inviate una foto al curatore; alzatevi alle 4.20 del mattino e guardate video psichedelici e dell’orrore che il curatore vi invia direttamente; tagliatevi il braccio con un rasoio lungo le vene, ma non tagli troppo profondi. Solo tre tagli, poi inviate la foto al curatore; disegnate una balena su un pezzo di carta e inviate una foto al curatore; incidetevi con il rasoio una balena sulla mano e inviate la foto al curatore; guardate video psichedelici e dell’orrore tutto il giorno; procuratevi del dolore, fatevi del male; non parlate con nessuno per tutto il giorno, e così via… il giorno 26 il curatore comunica al giocatore la data della sua morte. Il giorno 50 il messaggio è chiaro: saltate da un edificio alto. Prendetevi la vostra vita.
Surreale, agghiacciante, ma drammaticamente vero.  Il curatore con freddezza conduce alla morte il giocatore, sostenendolo in ogni prova, intervenendo nei momenti di cedimento, agendo anche con il ricatto e le minacce verso la famiglia per spingerlo fino ad arrivare alla meta finale.


È emerso negli ultimi tempi, indagando a fondo nell’ambiante di appartenenza di alcune giovani vittime che ad essere coinvolti nel gioco fossero intere classi, fino ad arrivare a quasi tutta la scuola. Tutti iscritti agli stessi gruppi. Nessuno dei coinvolti ha mai parlato del game o denunciato ciò che stava accadendo. La totale indifferenza contribuisce alla buona riuscita del percorso. Nella città di Rjazan l’esercito e le associazioni di volontari hanno scoperto un gruppo di ragazzini coinvolti nel gioco contemporaneamente, in totale 137. Una diffusione capillare, che senza il giusto intervento avrebbe portato a risultati catastrofici.
Blue Whale è come un war game, ma i personaggi sono reali, veri, hanno vite, famiglie, amici, interessi. L’arma di distruzione di massa non è un missile, ma un computer, attraverso il quale il curatore, come un condottiero, impartisce ordini alle sue armate votate all’autodistruzione. Ma chi sono i curatori? Chi si nasconde dietro questo piano diabolico?
Una di queste menti è  Philip Burdekin, un ragazzo di 21 anni, studente per tre anni in psicologia.  Nel 2016 è stato arrestato e incarcerato con l’accusa di essere una dei creatori di Blue Whale. Ha confessato di aver spinto personalmente al suicidio 17 ragazzine, allo scopo di “… purificare la società  dagli scarti biologici” e che comunque, l’ultimo giorno “…erano felici di morire.”. Ma Burdekin è solo uno dei curatori, forse tra i meno furbi. Dietro questo gioco si presume si nascondano psichiatri, professionisti, sconosciuti che agiscono da diverse parti del mondo, non importa da dove, perchè sono tutti uniti da un unico scopo e da un unico mezzo, internet, che sta diffondendo senza barriere questo male oscuro.
Anche in Italia si registrano i primi casi. Ma il nostro governo minimizza, le dichiarazioni che ho letto sono scioccanti per la loro superficialità. Fingere che non esista Blue Whale non risolve il problema. In febbraio, dal grattacielo più alto di Livorno, un ragazzo di 15 anni, come tanti, bravo a scuola e pronto per il compito di latino del giorno dopo, ha spiccato il volo per l’ultima volta. Secondo alcune testimonianze a causa della sua adesione al gioco. La polizia postale, sul proprio sito ufficiale, fornisce indicazioni importanti su come segnalare o agire di fronte a casi accertati o sospetti. Non voltiamoci dall’altra parte, non fingiamo di non vedere, non ci tocca direttamente ma è una piaga sociale accertata, concreta
Una mamma russa, una delle tante, piange sua figlia di 16 anni, morta suicida nel 2016. Dice queste parole: “ Con lei ho fatto tutto, ho ballato, ho cantato, ho recitato a teatro, ho scritto poesie.. abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare insieme… avevamo un rapporto stretto, nel cuore… ha obbedito al gioco. Ha fatto quello che quelle persone l’hanno spinta a fare. Non sono riuscita a fermarla, nessuno di quelli che erano con lei ha fatto nulla per fermarla…”. Silenzio. Indifferenza, un muro che copre chi spinge al suicidio ed espone la vittima al suo destino. Non possiamo restare a guardare indifferenti, abbiamo il dovere di intervenire con ogni mezzo, soprattutto quello della sensibilizzazione e della vigilanza.
Il silenzio della balena uccide, non dobbiamo dimenticarlo.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/


ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO.  Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai.  Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

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