CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

sabato 31 maggio 2014

i malanni di JFK




JFK, il calvario di un presidente i dolori, le malattie, i farmaci


WASHINGTON - Dietro l' immagine luminosa e la leggenda di Camelot, sotto il ciuffo e le donne e il sorriso, la vita di John Fitzgerald Kennedy fu la storia di un calvario di malattie e di dolori che soltanto i proiettili di Dallas interruppero, quasi come un colpo di grazia. Credevamo, quasi quarant' anni dopo l' omicidio di colui che rimane il più affascinante dei presidenti americani, di sapere tutto e anche troppo sulla sua vita, i suoi eccessi, la sua fine ancora tanto torbida, raccontati negli ormai oltre mille libri e biografie con il suo nome, ma scopriamo oggi, nelle anticipazioni della sua inedita e finora segreta "cartella clinica", che non sapevamo nulla. Niente delle otto pillole diverse che doveva inghiottire ogni giorno per combattere l' osteoporosi già a 40 anni, il male degli anziani che corrode le ossa. Niente sulla colite spastica, la depressione, l'insonnia, la spossatezza e l' eccitazione scatenate dalle disfunzioni ormonali, la farmacia che doveva ingerire per sopravvivere, gli ascessi alla colonna vertebrale che invano gli ortopedici avevano tentato di irrobustire con placche di titanio, il piccolo dramma quotidiano di un uomo che non riusciva a infilarsi più le calze da solo e divenne la possibile tragedia del mondo, nei giorni dello scontro con la Russia su Cuba, quando i medici dovevano pomparlo di analgesici e steroidi per tenerlo in piedi e lucido. Per quarant'anni, le casse con le cartelle cliniche, le ricette mediche e le radiografie di Jfk, dall'adolescenza fino agli ultimi giorni di vita, sono rimaste chiuse nel sacrario della famiglia, custodite da Ted Sorensen, l' uomo che di Kennedy scrisse i famosi discorsi pubblici. «Ho vissuto per quarant'anni avendo cura di questi documenti, impedendo ai curiosi, ai cercatori di sensazionalismo, di andare a rovistare nella sua storia clinica», ha detto Sorensen, che oggi ha 85 anni, alla rivista Atlantic e al New York Times che hanno pubblicato le anticipazioni sul libro che lo storico Robert Dallek sta scrivendo, "Una vita incompiuta, 1917-1963". «Alla fine ho incontrato Dallek e ho deciso che di lui potevo fidarmi, dimenticando i consigli di Jack, del presidente come lo chiamavamo noi, che mi raccomandava di non fidarmi mai di nessuno. Ma, insieme con la famiglia, abbiamo deciso che il mondo doveva sapere». Doveva sapere che questa icona di un' America giovane e vigorosa, che si presentò al giuramento del 21 gennaio 1961 proclamando che «una nuova generazione aveva raccolto la fiaccola», era martoriato da mali che oggi, se fossero stati conosciuti, renderebbero chiunque ineleggibile alla Casa Bianca. Soltanto l' ambizione e lo stoicismo di un giovane uomo al quale la madre, Rose, aveva insegnato che «un Kennedy non piange», potevano fargli sopportare una simile via crucis. E soltanto la corte di scrittori, storici e fabbricanti di immagine, poteva nasconderla agli elettori e al mondo. Ci fu sempre detto che le sofferenze alla schiena che lo costringevano spesso sulla sedia a dondolo, che gli impedivano di curvarsi e di prendere in braccio i suoi bambini, erano il prodotto delle ferite di guerra nel Pacifico. Ma, dalle lastre e dai referti medici, oggi scopriamo che Jfk soffriva di osteoporosi fin da ragazzo, forse provocata dal cortisone per combattere la sindrome di Addison, l' insufficienza ormonale che può portare alla morte e fu diagnosticata quando aveva 30 anni. Vediamo, nelle radiografie, che fu operato da giovane, con inserti di titanio alla colonna vertebrale, che dovettero essere rimossi d' urgenza quando provocarono ascessi. Le disfunzioni ormonali, prima alle surrenali, poi anche alle tiroide, lo costringevano ad assumere steroidi ogni giorno e spesso testosterone, l' ormone maschile, per dargli energia, un fatto che certamente spiegherebbe la sua insaziabile fame di sesso. Aveva un livello di colesterolo nel sangue altissimo, mai meno di 300, spesso di 400, il doppio di quello che ora si considera appena accettabile. Soffriva di banalissime, ma paralizzanti diarree, provocate da un colon cronicamente irritabile, di frequenti infezioni alle vie urinarie, ed erano altre pillole, Lomotil per l' intestino, antibiotici per le infezioni, Demerol, un barbiturico che provoca dipendenza, per limitare il dolore, Librium, tranquillante a base di benzodiazepine come il Valium, per combattere l' agitazione causata dagli squilibri ormonali, anti depressivi, sonniferi per dormire, anfetamine per svegliarsi in un cocktail micidiale di farmaci che uno dei suoi medici curanti alla Casa Bianca, la dottoressa Janet Travell ricorda arrivarono fino a otto al giorno. E otto furono anche le infiltrazioni di procaina, un anestetico usato anche dai dentisti prima di trapanare, che lei dovette iniettare nella schiena del presidente quando Jacqueline corse fuori dallo Studio Ovale per avvertire che il marito era rannicchiato sul tappeto, urlante e incapace di alzarsi per il dolore. Come nel caso celebre del medico privato di Hitler, il dottor Morell, anche un medico di Kennedy fu, anni dopo, radiato dall' ordine per il miscuglio di sostanze stimolanti e soprattutto anfetamine, che aveva prescritto al paziente. «è incredibile la quantità di dolore che quest' uomo doveva sopportare ogni giorno», confessa oggi un internista più serio che lo ebbe in cura fin da ragazzo e che ha sempre saputo tutto, il dottor Kelman, oggi docente di Medicina interna all' Università del Connecticut. Ed è ancora più incredibile che quasi niente di tutto questo, neppure quando Jfk doveva essere scaricato dall' Air Force One con il montacarichi se non era in grado di scendere a piedi la lunga scaletta dal 707 Boeing, arrivasse ai giornali che pure seguivano le sue mosse quotidiane e tacevano di altre cose, come dei suoi incontri amorosi. Ma l' America e il mondo non avevano ancora scoperto il bazar del pettegolezzo spacciato come informazione, rispettavano la privacy, facevano scudo attorno alla vita personale di Jfk, come giustamente erano stati complici di un altro famoso calvario, quello di Franklyn Delano Roosevelt paralizzato alle gambe e, decenni dopo, avrebbero taciuto sui sintomi di Alzheimer' s che cominciavano a manifestarsi in Ronald Reagan. Se il pubblico avesse saputo, lui e Roosevelt non sarebbero mai stato eletti e l' America non avrebbe avuto i Presidenti che la condussero alla vittoria nella Guerra Mondiale e poi alla soluzione incruenta della crisi dei missili. Ancora oggi, la famiglia, che pure ha autorizzato il fido Sorensen a permettere l' ispezione delle casse cliniche segrete, mantiene la propria discrezione. Il senatore Edward "Ted" ammette soltanto di avere sempre saputo che «mio fratello viveva costantemente con forti dolori», ma non di avere conosciuto l'enormità della sua condizione. Chi certamente ne sapeva di più, era l' altro fratello Bob, che visse da ministro e consigliere accanto a Jfk i tredici giorni di ottobre, nel 1962, e vedeva i medici affannarsi attorno al Presidente cercando il cocktail giusto che attenuasse il dolore senza metterlo Ko, in ore nella quali la lucidità di giudizio e di decisioni avrebbero fatto la differenza tra la pace e una guerra atomica. Ma anche Bob ha seguito "Jack" sulla strada di una morte sicuramente, ma forse non del tutto crudelmente, prematura, che risparmiarono al piccolo re Artù col ciuffo della Camelot americana, la discesa all' inferno di una vecchiaia umiliante, spegnendolo a 46 anni. Ora, i vecchi cavalieri della corte, come Sorensen, decidono di aprire i forzieri dei segreti medici. Chissà se, nel quarantesimo anniversario di Dallas e nella vecchiaia dei protagonisti, si aprirà anche la cassa che contiene l' ultimo segreto, quello sul delitto.

DAL NOSTRO INVIATO VITTORIO ZUCCONI

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