CRISTO MORTO - ANDREA MANTEGNA

venerdì 10 febbraio 2012

pioggia che balla




Finalmente dopo tanto tempo si era ripresentata l’occasione di una serata senza bambini, sarebbero andati a cena fuori in un ristorante sardo.. specialità pesce.
Lei era davanti allo specchio a fare la narcisista, la casacca bianca abbinata alle calze a rete e scarpe chiuse ci azzeccava, casacca decisamente sopra le ginocchia, aprì il cassettone per scegliere il reggiseno ma poi ci ripensò… perché metterlo?
Lui la sollecitò a finirsi di vestire e lei rispose che non intendeva aggiungere altro, gli occhi di lui la squadrarono da testa a piedi, pensando forse che avrebbe messo qualcosa sotto… lei voleva rimanere così e lui sorrise.

Non smetteva di piovere, parcheggiare la macchina è stato un delirio ma infine riuscirono a raggiungere il locale, erano le 20.00 passate, il locale era quasi sguarnito e tra i tavoli apparecchiati ce n’era uno con la candela accesa, lei scoprì che era il loro… A. aveva pensato davvero a tutto pensò soddisfatta.
Le tovaglie pendevano lunghe ai lati coprendo le gambe del tavolo, lei ogni tanto durante le portate sfilava il piede dalla scarpa e andava ad esplorare tre le gambe di lui, all’inizio solo sfiorandolo ma poi dopo alcuni bicchieri di Fermentino di Gallura il gioco diventò più serio, lei amava risvegliarlo, sentire le sue reazioni, accarezzarlo facendo piedino, lui stette al gioco e con disinvoltura aprì la patta facendogli fare capolino sotto il tavolo, le calze a rete di lei probabilmente sfrigolavano sulla cappella dando piacere al suo membro.

Non esagerarono volutamente con le portate mangiando solamente antipasti sardi e in seguito crostacei, gamberoni, seppie alla griglia e granchi freschi, meringata col cioccolato caldo accompagnata dal limoncello e mirto… nessuno dei due voleva appesantirsi perché volevano godersi la serata speciale tanto attesa.
Uscirono dal locale, lei era brilla, la pioggia non aveva ancora dato tregua, i goccioloni cadevano incessantemente sul suo corpo difeso solo dalla casacca, i seni godevano ad ogni impatto con l’acqua che dopo pochi passi il tessuto bagnato lasciava trasparire i suoi capezzoli ben pronunciati.

Raggiunta la macchina si infilarono dentro e cominciarono a slinguare, lui accese il motore, lei l’aveva già tirato fuori iniziando a masturbarlo delicatamente, arrivati la parco di Miramare accostarono, lei fece uscire i seni dalla casacca e si dedicò a lui per un pompino, continuava a stantuffarlo leccando la corona del prepuzio, poi scendeva con la lingua arrivando a prendere i testicoli in bocca, poi ripercorreva la stessa strada per agguantare la cappella con le labbra, le mani di lui erano sotto i suoi seni, i polpastrelli solleticavano i capezzoli turgidi, lei chinata continuava il gioco… “sei deliziosa quando succhi” a quelle parole lei sincronizzò i movimenti delle mani e della sua lingua fino a ricevere i fiotti caldi direttamente sul palato. Lei non era mai andata pazza a trangugiare il suo seme ma sapeva in quel momento che lui desiderava che ingoiasse, lo fece raccogliendolo tutto e ripulendo l’uccello, lui allora la tirò verso di sé e ricominciarono a slinguare, lei amava farlo con la bocca ancora intrisa, amava condividerlo con lui, amava soprattutto lui che ha sempre accettato questo rituale finale.

Rimessisi a posto raggiunsero casa e appena entrati si spogliarono con frenesia seminando sotto il letto gli abiti, accesero la luce fioca delle applique e lei gli offrì le sue labbra bagnate e dilatate divaricando completamente le cosce, lui davanti a lei sul letto spingeva le ginocchia fino a toccare il materasso, quella posizione l’ha sempre messa in eccitazione, avere la figa completamente esposta la mandava in fibrillazione, il suo inguine colava i suoi umori mescolati alla saliva di lui, la sua lingua accarezzava senza tregua la vulva palpitante, le gambe di C. abbracciarono la sua testa piegando le ginocchia e spingendo il suo viso tra le cosce morbide e calde.

L’olio di mandorle era già sul comodino, A. l'ho versò sulle sue dita e cominciò a massaggiarle il solco del culetto, prima in superficie poi facendo pressione la penetrò con un dito, i tessuti stavano cedendo, il 2° canale si stava dilatando, lui continuava ad ungere l’orifizio, quando il secondo dito fece il suo ingresso lei iniziò a gemere, posò le gambe sulle spalle di lui in ginocchio e a quel puntò lui la invase con un colpo di reni, lei lo sentiva avanzare e poi retrocedere poi avanzare nuovamente, desiderava come non mai essere scopata nel culo, desiderava essere la sua concubina. Il ticchettio della pioggia accompagnava le loro danze, la verga di lui alloggiava completamente nel culetto di C., la scopò ad intervalli mentre lei roteava il pollice sul suo clitoride.

Vennero come due animali in calore, lei mordendo le lenzuola e lui dandole i colpi finali per annaffiare le pareti del culetto devastato. Finito l’orgasmo si misero coricati ansimando e guardando il soffitto, lei poi si girò verso di lui e mettendosi a cavalcioni sulla sua pancia gli disse: “stanotte sei mio”.
Le danze ricominciarono, gli orgasmi non vennero mai meno, la loro passione continuò fino all’avvicinarsi dell’alba, alba di una giornata piovosa ma con il sole nei loro pensieri.

Nessun commento:

Posta un commento